La testimonianza della fede come viatico all’educazione
Evangelizzazione e scelte di vita
di Michele Giulio Masciarelli
Tratto da Avvenire [1] del 3 giugno 2009
I vescovi italiani hanno affrontato, nella loro annuale assemblea generale di maggio, il tema dell’educazione che sarà la traccia pastorale del prossimo decennio.
La domanda che viene da porsi è questa: la scelta educativa è un’interruzione dell’evangelizzazione e della nuova evangelizzazione? In altri termini: si cambia tema? A questa domanda occorre rispondere perché non è di poca importanza sapere se educare è cosa diversa dall’evangelizzare, per cui, se lo fosse, significherebbe uscire dal grande solco tracciato da Papa Paolo VI, con la Evangelii nuntiandi (8. 12. 1975), che è stata sapientissima matrice delle scelte magisteriali di molti episcopati, fra i quali quello italiano. A questa domanda si risponde certamente che educare non coincide con l’evangelizzazione, tuttavia educare serve all’evangelizzare e questo lo richiede come importante mediazione. Un disincontro tra evangelizzazione ed educazione sarebbe oltremodo deleterio. Si dà, di fatto, però che l’educazione cristiana non può non incontrare i vari servizi della Parola: agisce infatti nella loro stessa direzione, che è quella di formare l’uomo e il cristiano, di farlo crescere in tutte quelle dimensioni creazionali, carismatiche e vocazionali delle quali il Dio trinitario ha dotato ogni sua creatura. Così, l’opera educativa, che risponde a principi di ragione e di sapienza umana, incontra l’esperienza credente al fine di fecondarla e di restarne fecondata. Benedetto XVI a Verona ha posto in evidenza il rapporto stretto e necessario che intercorre tra la testimonianza della fede e l’esperienza educativa: «Perché l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da una generazione all’altra, - ha affermato - una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona». L’affermazione è assai netta e se ne scorge la dirompenza se la si verifica col metodo del rovescio: se non si educa la persona, l’esperienza cristiana, intessuta di amore credente e di fede amante, non ha modo di passare e di attecchire, perché questa esperienza non avrebbe il soggetto adatto per essere ricevuta, accolta e praticata. In altri termini, Papa Benedetto afferma che per credere e amare occorre un soggetto personale coltivato, perché, in fondo, la fede e l’amore sono affermazioni vuote se non s’incarnano in soggetti che credono e amano: esistono i credenti e non la fede, le creature che amano in Dio e per Dio e non l’amore. Ma che cosa è allora per il cristianesimo la persona e in particolare la persona formata? L’uomo per il cristianesimo porta lo stesso nome di Dio: persone sono anzitutto il Padre, il Figlio e lo Spirito, ma in modo analogo lo è anche l’uomo. Il discorso educativo evoca la grandezza dell’opera del Creatore e degli altissimi fini da lui dati all’uomo, che sono stati pensati e creati per mezzo di Cristo e in vista di lui (cfr. Ef 1; Col 1). In concreto, la persona per un cristiano la si vede al massimo del suo fulgore in Gesù. Se nella Prima Alleanza la verità dell’uomo consiste nell’essere fatto, in modo privilegiato, a immagine di Dio, nella Seconda Alleanza la stessa verità dell’uomo è realizzata nel Figlio di Dio, che incarnandosi, si pone come specchio dell’uomo, sua icona fino alla fine, quando, per questo, sarà il suo Giudice (cfr. Mt 25). Ma se un uomo è persona perché ha (in modo solo partecipato, ovviamente) le stesse caratteristiche di Cristo, ne segue che solo quest’uomo dovrà conformarsi a lui: allora diventerà davvero uomo e svilupperà la sua identità filiale. Questo lo fa il Cristo, che è il vero pedagogo, sostiene Clemente Alessandrino: egli è per l’uomo maestro di verità, il Logos, colui che indica la via della redenzione, concretizzando con l’esempio un ideale da vivere esemplato sulla sua esistenza. Il cristianesimo, pensando l’uomo in tal modo, dovrà concepire un’educazione consequenziale, che serva la persona e la prepari a ricevere l’annuncio evangelico. La persona è interiorità, profondità spirituale: l’atto educativo dovrà spingersi dentro l’uomo, in interiore homine. Nelle Confessioni e nei Soliloquia sant’Agostino approfondisce in modo ampio la sua visione dell’interiorità, mentre nel De Magistro, opera dal chiaro contenuto pedagogico, egli dimostra che l’educazione cristiana è l’occasione fondamentale per consentire all’uomo di scavare nell’anima e in questa rinvenire, attraverso la luce di Dio, la traccia del divino. Il Cristo e lo Spirito sono i due Maestri dell’uomo, ma essi l’opera educativa della persona, come preparatio evangelica, la fanno compiere agli uomini con l’atto mediativo dell’educazione. Appare bene così che il punto d’incontro fra l’educare e l’evangelizzare è proprio l’uomo, concepito nella sua identità squisitamente personale. «L’annuncio del Vangelo – ha detto sempre Benedetto XVI a Verona – è strettamente connesso all’educazione della persona. La semplice 'notizia' cristiana non basta da sola a realizzare l’annuncio del Vangelo di Gesù e a realizzare quell’annuncio in modo che appaia alla coscienza del singolo come una parola che lo interpella e che chiede da lui un nuovo orientamento di vita: la profezia evangelica va mediata con l’atto educativo». Occorre operare per allontanare il sospetto che la mediazione educativa possa distruggere la profezia evangelica perché la stessa educazione ha natura profetica. Don Lorenzo Milani diceva che «il maestro – noi diremmo l’educatore – deve essere, per quanto può, un profeta, scrutare i ’segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso».
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