09 aprile 2009

Quando lo sconfitto è lo Stato «tout court»


Affratellati dalla sentenza della suprema Corte, Stefano Rodotà e Gianfranco Fini - che prima più nemici non si poteva - parlano finalmente la stessa lingua. È del primo un editoriale su Repubblica (giovedì 2) dal titolo «Sconfitto lo Stato etico»; il secondo, invece, si è meritato quasi un'intera pagina elogiativa su il Manifesto (venerdì 3) per aver detto che «la legge sulla procreazione [è] basata su dogmi di tipo etico-religioso». Per ragioni diverse (età dell'uno, radici ideologiche dell'altro) entrambi dovrebbero conoscere che cos'è veramente uno Stato etico (vedi i regimi fascista, comunista, nazista...), ma anche sapere che, senza un minimo etico che lo giustifichi, uno Stato non può esistere. Vietato uccidere, vietato rubare, truffare, dire il falso, negare l'umanità del diverso e del piccolo...: che altro è il Codice penale se non la trascrizione in formule giuridiche dei 10 Comandamenti e la traduzione dei peccati in reati? Quando le sentenze creative cancellano questi «dogmi etico-religiosi» e autorizzano l'uccisione degli innocenti e dei malati, la negazione del nome di uomo a chi è all'inizio di un'avventura umana e l'uso strumentale delle persone, lo Stato non fa che crearsi una sua etica artificiale, staccata, perciò, da ogni idea razionale - cioè naturale - di ethos. Nel nostro caso un'etica di tipo laicista e ateo, senza un'ispirazione più alta di sé. Come accade, appunto, nei regimi ricordati. Senza un'etica che lo anticipi e lo fondi, lo Stato è solo anarchia, non può dirsi civile. Lo sconfitto, insomma, è, tout court, lo Stato.

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