10 ottobre 2010

Presentazione pubblicità UCB

La comunicazione di United Colors of Benetton si basa su una intuizione di Luciano Benetton che dice:
“La comunicazione non si deve comprare da un fornitore esterno, deve nascere dal cuore dell’impresa”.
Parte da questo assunto la strategia di comunicazione di un marchio che, da più di venti anni, punta, attraverso la capitalizzazione dell'immagine, alla creazione di “valore”.
Un'impresa che sceglie di dare importanza al “valore”, che sceglie di creare “valore” non si rivolge più al consumatore ma all'individuo.
Il consumo vero e proprio viene riposizionato in un contesto di vita. Entrando nell'universo dei valori, la marca libera il prodotto dall'universo della merce e della fabbrica, ne fa un essere sociale a sé stante. Rivolgendosi a un individuo, invece che a un cliente, la marca può identificare il suo target non a partire dall'età o dal reddito dei consumatori, ma sulla base di una visione comune di ciò che è importante, a partire da un insieme di valori condivisi.
Benetton ha capito, fin dai suoi inizi di marca di abbigliamento giovane, che destinare risorse alla costruzione e valorizzazione della marca, equivaleva all'effettuazione di un investimento strategico. I colori uniti dei pullover sono diventati presto metafora dei colori uniti dei giovani di diversa nazionalità cui i maglioni erano destinati. Con l'allargarsi dei mercati - Benetton è diventato in pochi anni un marchio globale - si è esteso il concetto di United Colors fino a comprendere, oltre alle razze diverse, i concetti di tolleranza, di pace, di rispetto delle diversità.
L'evoluzione dell'idea di “marca” si lega anche alla nuova realtà tecnologica dell'azienda. La grande intuizione di Benetton è nel mettere a punto, all'inizio degli anni '60, un procedimento che permette la tintura degli abiti finiti e non, come accadeva abitualmente, di fibre non tessute. Un know how che permette all'azienda, ai suoi esordi, di reagire molto più in fretta alle tendenze della moda, fattore di determinante importanza in questo mercato. La manipolazione dei colori diventa perciò un vero e proprio elemento di identità e di cultura industriale per l'azienda.
“Tutti i colori del mondo” era uno dei primi slogan cha accompagnavano le pubblicità Benetton, diventando poi “I colori uniti di Benetton”. Quest'idea dei colori uniti appare talmente forte da convincere l'impresa ad adottarla come marchio.
Per la prima volta nella storia dei marchi commerciali, lo slogan “United Colors of Benetton”diventa marchio.
Un marchio che si trasforma in propulsore di un messaggio suggestivo: “United Colors”. Intorno ai “colori uniti” si svilupperanno i concept delle immagini pubblicitarie che punteranno a creare una rete sempre più estesa di “United People”. Sono immagini che mostrano ragazzi e ragazze di ogni colore che esprimono integrazione, dinamismo, gioia di vivere. Evocano un universo un po' astratto dove domina la facilità delle relazioni e dei sentimenti.
La costruzione del valore della marca avviene, a questo punto, in tre diverse fasi:
  • Il ciclo della differenza
  • Il ciclo della realtà
  • Il ciclo del diritto di parola e della legittimità ad esercitarlo

IL CICLO DELLA DIFFERENZA

Incomincia con la collaborazione di Oliviero Toscani e a partire dalle immagini della campagna del 1986, il lungo cammino della comunicazione Benetton verso il suo destino di sovvertimento degli stereotipi. I gruppi felici di giovani multirazziali lasciano il posto alla raffigurazione di “coppie” che mettono in scena un’interpretazione della differenza assolutamente nuova. Il termine “differenza” acquista in questo ciclo un significato polemico e oppositivo. La marca scopre che gestire la problematica della differenza all'interno di un procedimento di comunicazione non è poi così semplice. Spesso, cercare di accostare individui diversi può portare al conflitto invece che alla felicità e all'euforia. Numerose immagini di questo periodo mostrano l'applicazione di questo procedimento. Un'immagine mostra un'opposizione religiosa e politica (il palestinese e l'israeliano).
Un'altra mostra un'opposizione religiosa e sessuale (il prete che abbraccia la suora) e un'altra ancora un'opposizione morale (gli stereotipi del male e del bene simboleggiati dall'angelo e dal diavolo).
Tutte queste opposizioni si fondano su interdizioni, su un'impossibilità di coesistenza, su una differenza che separa invece che unire. Prendendo atto di queste diversità e divieti, la marca assume un tono più impegnato. Prende posizione, non si limita a fornire una semplice rappresentazione “oggettiva” del mondo: la marca si impegna ad assicurare la coabitazione di identità opposte, vuole abbattere le barriere e assicurare il dialogo. Il suo progetto diventa l'integrazione degli opposti, Benetton cerca l'unificazione delle differenze sotto un'unica bandiera, quella della marca. In questa fase, il “prodotto” scompare progressivamente dalle immagini pubblicitarie. Tradizionalmente, il discorso pubblicitario insiste sull'importanza del prodotto proprio nel cuore dell’annuncio. Questa presenza sarebbe necessaria per attribuire a una campagna un effetto commerciale reale. Benetton prende un'altra direzione, suggerendo che, una volta stabilite in modo chiaro l’identità della marca e la sua identità visiva, il prodotto diventa uno degli attributi della marca. Benetton sta diventando ormai un marchio presente in tutti i continenti. La popolarizzazione e la diffusione dei suoi prodotti reali - quelli che si possono acquistare negli oltre 5.000 negozi- si traduce paradossalmente nella scomparsa del prodotto dalla sua comunicazione.

IL CICLO DELLA REALTÀ

Dopo l'uguaglianza, dopo l'esaltazione delle differenze, Benetton affronta la realtà di ciò che è comune a tutti, di ciò che è proprio dell'Uomo in generale. Il dialogo instaurato da Benetton con i “consumatori” (che Benetton considera prima di tutto uomini e donne) acquista profondità. Nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo viene realizzata questa immagine, la foto di un cimitero di guerra:
Pubblicata su un solo giornale, in Italia, Il Sole 24 Ore, poiché tutti gli altri la rifiutarono, annuncia una frattura con le immagini precedenti. Lo stile diventa “realistico”, si introduce la profondità di campo, un pezzo di “vita vera” irrompe nell’universo edulcorato e falso della pubblicità.
Questa unica foto provocherà centinaia di articoli in tutto il mondo. Alle opposizioni nei confronti dell’irruzione del tema della morte in pubblicità Benetton risponde con una nascita, la famosa immagine di un neonato ancora attaccato al cordone ombelicale.
La foto della neonata Giusy vorrebbe essere un inno alla vita ma sarà una delle immagini più censurate nella storia della pubblicità Benetton. Nel tradizionale spazio pubblicitario, abitato da simulacri, l'irrompere della vita vera crea scandalo.
In Italia, le proteste iniziano a Palermo, dove il Comune ingiunge alla Benetton di togliere le affissioni. A Milano, la censura è addirittura preventiva e il grande spazio di Piazza Duomo resta off-limits. Dopo arriva la condanna del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria, il Comitato di Autoregolazione della categoria per il quale la foto “non tiene conto della sensibilità del pubblico”. Critiche analoghe vengono espresse anche in Gran Bretagna, Irlanda e Francia. È singolare però l'itinerario di quest'immagine che, passato il periodo del rifiuto, comincia ad essere compresa ed apprezzata. Arrivano così il premio svizzero della Société Générale d'Affichage e la richiesta, da parte del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, di mettere la foto nella sala travaglio; questa stessa immagine, inoltre, viene esposta in Olanda, nell'ambito di una mostra dedicata all'iconografia della maternità nei secoli, al Museo Boymans-van-Beuningen di Rotterdam.
A questo punto il linguaggio della comunicazione Benetton cambia radicalmente. Con la campagna del febbraio 1992, arriva lo scandalo planetario. Questa campagna è costituita da foto di agenzia che mostrano immagini drammatiche, reali: l'agonia di un malato di Aids, un soldato che bandisce un femore umano, un uomo assassinato dalla mafia, un’automobile incendiata, una nave presa d'assalto da emigranti.
La foto di David Kirby ritratto nella sua stanza dell'Ohio State University Hospital nel Maggio del 1990 con al capezzale i familiari è della fotografa Therese Frare ed era già stata pubblicata come foto giornalistica in bianco e nero su Life magazine nel Novembre del 1990. Aveva già vinto nel 1991 il World Press Photo Award, ma è stato grazie all'utilizzo pubblicitario che Benetton ne ha fatto che questa foto ha raggiunto i media mondiali ed ha fatto discutere sul tema della morte per HIV. Tanto che oltre a vincere il premio dell'European Art Director Club per la miglior campagna del 1991, l'Infinity Award dell'International Center of Photography di Houston, e ad essere stata esposta in musei americani, francesi, italiani, svizzeri e tedeschi, nel 2003 la foto è stata inclusa nella raccolta Life 100 Photos that changed the world. I genitori di David, Bill e sua moglie Kay, parteciparono alla conferenza stampa indetta dalla Benetton alla Public Library di New York e mentre su quell'immagine il mondo si divideva tra accuse di cinismo e approvazione, e molte riviste avevano già rifiutato la pubblicazione, la madre di David disse: "Noi non abbiamo la sensazione di essere usati ma di usare la Benetton: David parla a voce molto più alta ora che è morto che non quando era vivo".
Le foto del malato di Aids, del soldato e degli immigrati albanesi non sono state realizzate ad hoc per la campagna pubblicitaria, sono immagini di agenzia, di stile tipicamente giornalistico, utilizzate per reportage di attualità. Sono foto che riproducono il mondo “reale”, rientrano nelle convenzioni dell'informazione e introducono una nuova interessante domanda sul destino della pubblicità: si può usare il messaggio pubblicitario, l'enorme potenza dei budget impiegati in pubblicità, per instaurare con i consumatori un dialogo diverso dall’informazione sui prodotti?
Chi ha stabilito che la pubblicità possa rappresentare soltanto l’assenza dei conflitti e del dolore?

IL CICLO DEL DIRITTO DI PAROLA E DELLA LEGITTIMITÀ AD ESERCITARLO

Le reazioni a queste immagini “reali” furono, a volte, violente. La campagna fu rifiutata da molte testate giornalistiche, in vari paesi. Eliminando il prodotto dalle sue comunicazioni, infrangendo il tabù dei temi negativi, associando la sua marca alla rappresentazione dei conflitti e del dolore, e, soprattutto, abbandonando il mondo confortevole e fittizio degli stereotipi pubblicitari, Benetton fa saltare letteralmente le fondamenta sulle quali riposano la cultura, il linguaggio e la specificità del discorso pubblicitario classico.
Molte accuse riguardavano il carattere “choccante” delle pubblicità Benetton. Ma il discorso non regge. I media ci hanno abituato da tempo a ogni tipo di immagine: omicidi, catastrofi naturali, genocidi. La lista dell'orrore e della sofferenza mediatizzati è purtroppo infinita. Nel caso di Benetton ciò che colpisce non può dunque essere l'immagine in sé ma piuttosto il fatto che queste immagini siano diffuse da un'azienda a fini pubblicitari. Altri critici trovavano accettabile e addirittura lodevole la preoccupazione dimostrata dalla marca di sensibilizzare il grande pubblico sui temi dell'AIDS, della guerra, del razzismo. Consideravano però assolutamente inaccettabile che questa operazione di sensibilizzazione fosse fonte di guadagno, fosse associata a un'attività commerciale. Il guadagno trasformerebbe la denuncia in speculazione, la sensibilizzazione in cinismo. Il discorso non regge neppure in questo caso. Nelle società occidentali ci sono istituzioni e figure professionali orientate verso il bene pubblico (ospedali, medici, polizia, vigili del fuoco, organizzazioni non governative e governative) che vengono remunerate o fanno profitti. Curiosamente, questa stessa pratica sembra diventare improvvisamente spregevole quando è una marca di vestiti a pretendere di poter avviare un discorso - per esempio sulla prevenzione dell'AIDS - di utilità pubblica. Sta tutto qui lo scandalo Benetton. In realtà ciò che le si rimprovera non è di esercitare un diritto di parola. È di non avere la legittimità per farlo. Fino a che la marca si limitava a mostrare immagini appartenenti al suo mondo possibile, non le si contestava niente. Ciò che ha dato fastidio è che Benetton abbia confuso il mondo “possibile” con il mondo “reale”, credendo di poter disporre della stessa legittimità di parlare di un mondo che non ha generato.
Tuttavia, la successiva legittimazione del marchio grazie alla collaborazione con numerose associazioni riconosciute internazionalmente permise di superare quest'ultima critica. Nel 1993, con la collaborazione della Caritas Svizzera e della Federazione Internazionale della Croce Rossa di Ginevra, Benetton lancia la campagna “Clothing Redistribution Project”, la prima operazione mondiale di ridistribuzione di vestiti alle popolazioni bisognose. Il testimonial è Luciano Benetton stesso, significativamente nudo, coperto soltanto dall'headline “Ridatemi i miei vestiti” utilizzata come “teaser” e dalla successiva “Vuotate gli armadi”. Il vero successo della campagna sarà comunque testimoniato dai 460.000 Kg. di abiti usati, raccolti dalle 44 associazioni che, unendosi a Caritas e Croce Rossa, hanno reso capillare nel mondo l'opera di ridistribuzione (tra queste la Buddhist Relief Old Clothes Help a Taiwan, la Global Jewish Assistance and Relief Network a Hong Kong, la Japan Relief Clothing Center a Tokyo, Gifts in Kind negli Stati Uniti e in Canada, la World Assembly of Muslim Youth nei Paesi Arabi e Hogar de Cristo in America Latina).
In occasione della Sesta Giornata Mondiale dell'AIDS, il 1 dicembre 1993, un enorme preservativo rosa, alto 22 metri e largo 3,5, è stato infilato sull'obelisco di Place de la Concorde a Parigi. L'endorsement, questa volta, era di ACT UP, una delle associazioni più radicali nell’informazione e nella lotta contro l'AIDS.
Tutti i telegiornali delle principali reti televisive internazionali e, ovviamente, tutta la stampa quotidiana e periodica mostrarono quella che è diventata l'immagine simbolo della lotta all'AIDS.
Attraverso l'alleanza con associazioni no-profit, istituzioni, grandi organismi internazionali, la Benetton dimostra che un uso “differente” della pubblicità è possibile.
Il diverso approccio alla comunicazione, intesa come creazione di valore, si è espresso anche nella realizzazione dei cataloghi delle collezioni moda:
Sempre fotografati con “gente vera”, realizzati a volte in collaborazione con grandi testate giornalistiche (Enemies con Newsweek, ad esempio, per dare forza editoriale al messaggio di pace contenuto in un semplice catalogo comerciale) o con istituzioni educative (come l'Istituto St. Valentin, per giovani disabili, con sede a Ruhpolding, nelle Alpi Bavaresi). Oppure con i giovani abitanti desiderosi di riscatto di una cittadina siciliana, Corleone, in odore di “mafia”, o ancora con le tribù metropolitane di un quartiere alla moda di Tokyo.
L'ultima campagna con Toscani, fotografata nel 2000 in alcuni penitenziari americani, ha per oggetto la pena di morte ed avrà un impatto mediatico sensazionale. Le principali TV di tutto il mondo dedicheranno all’argomento parte dei loro notiziari. Tutta la stampa internazionale pubblicherà le foto dei condannati mentre il dibattito sulla pena di morte si arricchisce di nuovi significativi contributi.
Dal 2000 Oliviero Toscani passa il testimone della creatività a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione che lui stesso ha contribuito a fondare. Così a partire dal 2001, il brand ha alternato, ogni tre stagioni, tradizionali campagne prodotto e campagne istituzionali sempre di più ampio respiro.
Le più recenti comprendono:
2001, Volunteers in Colors : una campagna di comunicazione Benetton, un numero speciale di COLORS e un concerto, in collaborazione con UN Volunteers, per celebrare l'Anno Internazionale del Volontariato.
In questa campagna Benetton ha affrontato uno dei temi tipici della sua comunicazione e, ancora una volta, ha parlato di “gente vera” e toccato problemi concreti del vivere civile.Non più la rappresentazione del volontariato associata soltanto all'emergenza e al dolore, ma piuttosto a un modo di realizzarsi nell’aiuto degli altri, legato a scelte personali e di qualità della propria vita.
Per maggiori informazioni visita www.benetton.com/UNV
2003, Food For Life : una campagna di comunicazione Benetton, un libro e un supplemento di COLORS, in collaborazione con World Food Programme, l’agenzia delle Nazioni Unite in prima linea per la lotta contro la fame nel mondo.
La campagna ha inteso riproporre con evidenza il problema della fame che ancor oggi rappresenta la più grande emergenza umanitaria mondiale, anche se, di fatto, è stata dimenticata dai media e dall'opinione pubblica. Lo scopo era quello di mostrare come il cibo possa divenire un vero e proprio agente di cambiamento sociale, importante motore di pacificazione e di sviluppo, in grado di cambiare drasticamente le prospettive di vita futura degli individui.
Per maggiori informazioni visita www.benetton.com/food/press
2004, James & Other Apes : una campagna di comunicazione Benetton, un libro e una mostra del Museo di Storia Naturale di Londra, con il supporto del Jane Goodall Institute, fondato dalla nota primatologa impegnata nella salvaguardia dell'ambiente e messaggero di pace delle Nazioni Unite.
Con questa iniziativa, Benetton ha proseguito la sua riflessione sulla diversità intesa come “ricchezza” del nostro mondo, estendendola dalla varietà delle razze umane agli esseri viventi che occupano il primo posto nella classificazione zoologica. I ritratti di queste grandi scimmie ci rimandano, in un gioco di specchi, agli interrogativi fondamentali dell'essere umano, racchiusi nello sguardo enigmatico di razze così vicine a noi nella scala evolutiva.
Per maggiori informazioni visita www.benettongroup.com/apes
2008, Africa Works: una campagna mondiale di comunicazione dedicata al progetto di microcredito in Senegal. Benetton ha messo in primo piano l’Africa che lavora: una campagna mondiale di comunicazione per promuovere il progetto di microcredito in Senegal di Birima, la società di credito cooperativo fondata dal cantante senegalese Youssou N’Dour, alla quale il Gruppo Benetton ha destinato anche un solido sostegno economico. Benetton ha scelto di sostenere e promuovere questo importante progetto perché, più delle tradizionali azioni di solidarietà, è un concreto sostegno allo sviluppo della piccola imprenditoria locale, grazie ad efficaci finanziamenti di microcredito. Un progetto che, proprio perché basato su capacità imprenditoriali, impegno nel lavoro, ottimismo e interesse per il futuro, punta con forza a sostenere il nuovo volto dell’Africa. In parallelo a stampa e affissioni, la campagna Benetton ha contato su una serie di iniziative ed eventi: un supplemento di COLORS sul microcredito; una riedizione della canzone Birima di Youssou N’Dour con la partecipazione straordinaria di Patti Smith, Simphiwe Dana, Irene Grandi e Francesco Renga; un videoclip della canzone; un cartone animato sul tema del microcredito realizzato appositamente per la comunità senegalese e le tv africane; un sito internet Benetton dedicato alla campagna e agli eventi collaterali e il portale www.birima.org, entrambi progettati e realizzati da Fabrica.
Per maggiori informazioni visita www.benetton.com/africaworks
Con l'“endorsement” di queste istituzioni prestigiose e inattaccabili alle campagne Benetton siamo nella fase attuale della comunicazione Benetton, una comunicazione che continua a sorprendere oggi per la capacità di instaurare alleanze, per la capacità di “moltiplicare” la comunicazione, in un processo di informazione e sensibilizzazione verso temi sociali che coinvolge parecchi attori dell'universo mediatico. Sono ormai le Nazioni Unite, SOS Racisme, le associazioni di lotta contro l'AIDS e contro la pena di morte, i gruppi pacifisti, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, le associazioni di volontariato a sfruttare la potenza e la notorietà del marchio Benetton per comunicare su temi che stanno loro a cuore e per i quali non avrebbero potuto mai disporre di budget adeguati. La vecchia accusa “Benetton sfrutta il dolore per vendere maglioni” si è ormai ribaltata. Sono le Nazioni Unite e le altre Associazioni a sfruttare la potenza e la riconoscibilità del marchio Benetton e dei suoi maglioni per dare voce “al resto del mondo”. La marca è perciò alla soglia di una nuova fase, più evoluta, della creazione di valore. Benetton continua a parlare di consumo e di comunicazione. La marca non vuole e, ovviamente, non può risolvere i problemi planetari. Il destinatario della marca non è un target specifico, è invece un soggetto collettivo, consumatori agiati che comprano dei vestiti e che la marca ritiene sufficientemente evoluti intellettualmente da smettere di bombardarli con spot coercitivi all'acquisto.
Il “cuore” dell'impresa, da cui oggi nasce la comunicazione, è Fabrica, un vero laboratorio di ricerca aperto a giovani sotto i 25 anni provenienti da tutto il mondo. La sfida di Fabrica è quella dell'innovazione e dell'internazionalità: un modo per coniugare cultura e industria, attraverso la sperimentazione di nuovi linguaggi: nel design, nella grafica, nel web, nel video e nel cinema, nella musica, nell'editoria e nella fotografia. In questo modo il Gruppo continua nella sua strategia di creazione di valore e contribuisce all'unicità di un marchio che non ha mai smesso di credere nella ricerca e nella sperimentazione.