27 marzo 2009

AIDS e preservativi/5

La favola di Cappuccetto rotto

Perfino chi lo produce ammette che il preservativo non è sicuro e funziona meglio in Groenlandia che in Africa
Sono un uomo e conosco la plastica. Perciò sorrido quando su Repubblica l’infettivologo Moroni definisce il preservativo “un metodo sicuro”. Poveretto, non riesce a tenere il punto nemmeno per tre secondi e già una riga dopo è obbligato a smentirsi: “Se usato bene, dall’inizio alla fine di ogni rapporto ed evitando che si laceri.” Per imparare a governare il cappuccetto ci vuole un po’ di tempo, quasi quanto per imparare a governare l’amore e comunque, anche dopo anni di pratica, in quei momenti è facile dimenticarsi tutto. Il maschio smanioso giustamente si dice allupato e nessuno ha mai visto un lupo, una bestia, preoccuparsi della profilassi. Il cazzo, antica saggezza, non vuole pensieri. Se comincia a riflettere sulle conseguenze, sulla possibilità di prendersi malattie o accollarsi figli, si immalinconisce e si ammoscia.
L’amore fisico è per sua natura irresponsabile, “uno sregolamento di tutti i sensi” per dirla con Rimbaud. L’insigne infettivologo Moroni nella sua smentita sembra alludere alla favola, che tanto favola non è, di Cappuccetto Rotto. Bisogna evitare che si laceri, certo, ma come si fa non ce lo spiega, si vede che all’Università di Milano, dove insegna, dopo tante ricerche non ne sono ancora venuti a capo. Per capire come stanno davvero le cose mi sono andato a studiare non il Catechismo della Chiesa Cattolica, non l’Osservatore Romano, non il Messaggero di Sant’Antonio, che potrebbero veicolare pregiudizi antiscientisti, bensì il materiale esplicativo fornito da Akuel, la marca dei preservativi reperibili in ogni farmacia. L’espositore è su tutti i banconi, non fate finta di non averlo mai visto. Uno dei numerosi modelli si chiama Sicuro e basta il nome per gettare un’ombra sull’affidabilità della gamma restante. Uno si chiama Nudo: “Sottilissimi, impercettibili, per l’intimità più completa”. Uno si chiama Nulla. Secondo l’infettivologo Moroni, secondo il presidente della Commissione europea Barroso, secondo i nemici del Papa (Francia o Spagna azzanna azzanna) che in questi giorni stanno abbaiando da tutti i media si dovrebbe affidare un intero continente, l’Africa, a Nulla. E adesso comincio a leggere, e a leggervi, le istruzioni per l’uso presenti in ogni confezione. Prima però vorrei chiedere alle persone molto sensibili di lasciar perdere, di passare ad altro articolo: non vorrei disgustarle, l’argomento è quello che è.
“Aprire la bustina ed estrarre il preservativo con delicatezza, facendo attenzione a non danneggiarlo con le unghie”. Sembra di capire che prima di ogni incontro potenzialmente torrido sia indispensabile fare un salto dalla manicure. Chissà se nei villaggi del Camerun esiste questa figura professionale, nemmeno a Parma ne ho mai conosciuta una, frequento negozi di barbiere in cui è già molto che ci sia il barbiere, così le unghie me le taglio a casa da solo, malissimo. “Stringere tra indice e pollice il piccolo serbatoio che si trova all’estremità, in modo da farne uscire l’aria che potrebbe causare rotture”. Pur essendo un maschio di lungo corso questa operazione non riesco a capirla bene, ho comunque il sospetto che per eseguirla alla perfezione ci vorrebbero almeno tre mani. “Assicurarsi che rimanga dello spazio in punta per lo sperma”. E se lei prima di cominciare ha voluto accostare le persiane, tu che fai, come ti assicuri, usi gli occhiali a infrarossi? “Subito dopo l’eiaculazione, estrarre il pene mentre ancora è eretto, tenendo stretto il bordo del preservativo con due dita, per evitare che si sfili”. Molti sanno che dopo l’esito anche la donna più feroce si percepisce romantica e gradisce che l’uomo rimanga per qualche minuto dentro di lei. Nel caso contrario, quello con rapida estrazione e fuga, si sente trattata come una prostituta. Sentimento e sicurezza sono in questa fase più incompatibili che in altre. Mi tocca dirlo: Akuel e il professor Moroni (forse anche Barroso) caldeggiano tempi e modi che sono tipici dei rapporti mercenari. Non è finita qui, le istruzioni sono fitte e l’azienda produttrice non ci risparmia una lunga serie di avvertenze finali, ognuna con la sua faccetta imbronciata piazzata a fianco. “Non usare il preservativo dopo la data di scadenza indicata”. Il mondo è pieno di signori con la patente scaduta, col libretto scaduto, con la bolletta scaduta, chissà quanti di loro controllano periodicamente la scadenza dei cappuccetti. “Non tenere i preservativi al caldo”. Ci avevano raccontato che erano la soluzione ideale per l’Africa e invece sono più efficaci in Groenlandia. “Non usare lubrificanti a base oleosa (ad esempio vaselina, olio per bambini): possono danneggiare il preservativo”. Non fatemi entrare in dettagli, vi prego, voglio soltanto condividere con voi la mia impressione che questi oggettini in lattice sembrano potersi danneggiare praticamente con tutto, forse anche con lo sguardo. E ho saltato qualche faccetta imbronciata altrimenti facevamo notte. Arrivato alla fine del papiello ritorno all’introduzione, che avevo dimenticato di leggere. Qui nessuna faccetta ma ulteriori mani avanti. “Benché nessun contraccettivo possa garantire una sicurezza al 100 per cento…”. Siamo d’accordo, di sicuro nella vita c’è solo la morte. “I preservativi sono intesi per uso vaginale: l’uso al di fuori del rapporto vaginale può aumentare il rischio che il preservativo si sfili o venga danneggiato”. Ci siamo intesi benissimo, nonostante il linguaggio reticente, peccato che l’Aids provenga in primo luogo da Sodoma. Chiunque sappia leggere l’italiano e si rechi in farmacia può verificare, come ho fatto io, che la Akuel conferma una per una le parole di Benedetto XVI: “I preservativi non sono sicuri”. Affermazione sulla quale non ho mai avuto il minimo dubbio perché io sono un uomo che conosce la plastica, e perché il Papa è infallibile.

26 marzo 2009

aids e preservativi/3

Il rischio di contrarre il virus Hiv usando i preservativi durante i rapporti sessuali è nell’ordine del 15%. Questa conclusione è con­tenuta in uno studio pubblicato dalla nota rivista scientifica bri­tannica The Lancet nel 2000. È una delle conferme scientifiche di quanto affermato da papa Bene­detto XVI la settimana scorsa in A­frica, ovvero che l’Aids non si scon­figge distribuendo i preservativi, ma attraverso un’educazione alla dignità umana.

A sostenere la cor­rettezza scientifica della posizione del Papa non è dunque soltanto Edward Green, il celebre studioso di Harvard le cui posizioni sono state riportate su Avvenire del 21 marzo. Al contrario, sfogliando le riviste scientifiche e mediche di questi vent’anni di lotta all’Aids, troviamo numerose conferme alla fallibilità dei profilattici. L’effetto «cinture di sicurezza». Ri­prendendo il citato articolo del Lancet ( John Richens, John Imrie, Andrew Copas, Condoms and seat belts: the parallels and the lessons) si fa un interessante parallelo con le cinture di sicurezza per gli inci­denti automobilistici, che (anche loro) non hanno portato i benefici sperati. In pratica, sostengono gli autori dello studio, il senso di sicu­rezza moltiplica i comportamenti a rischio. È il fenomeno noto come «teoria della compensazione del ri­schio ». Nel caso dei preservativi la responsabilità è di chi sostiene sia­no «la» soluzione definitiva del pro­blema, inducendo perciò un senso di falsa sicurezza che moltiplica i rapporti promiscui, principale cau­sa della diffusione della malattia.

Ciò è dimostrato dal fatto – sostie­ne lo studio – che in Africa i Paesi dove il preservativo è più diffuso (Zimbabwe, Botswana, Sudafrica e Kenya) sono anche quelli con i tas­si di sieropositività più alti. «L’effi­cacia del preservativo – concludo­no i ricercatori – è legata soltanto al reale cambiamento dei compor­tamenti a rischio». Preservativo troppo rischioso. Sui tassi di inefficacia del profilattico concordano molti studi scientifici. Secondo una ricerca condotta da S. Weller e K. Davis e pubblicata su Family Planning Perspective (una rivista scientifica dell’Alan Gutt­macher Institute, emanazione del­l’organizzazione abortista Interna- tional Planned Parenthood Fede­ration), l’efficacia del preservativo nel prevenire la trasmissione del­l’Hiv è stimabile intorno all’ 87%, ma può variare dal 60 al 96%. Dati confermati anche dal­lo studio di J. Trussell e K. Yost e presentati (senza che si levassero voci scandalizzate) al­la Conferenza Onu di Rio de Janeiro nel 2005. Ancora su Family Planning Perspective viene citato uno studio di Marga­ret Fishel secondo cui in coppie sposate con un partner sieroposi­tivo, l’uso del preservativo come protezione ha prodotto l’infezione dell’altro partner nel giro di un an­no e mezzo nel 17% dei casi. Perché i preservativi non funzio­nano. Uno studio presentato nel 1990 sul British Journal of Family Planning mostra che in un test ef­fettuato in Inghilterra nel 52% dei casi, gli utilizzatori del profilattico ne hanno sperimentato la rottura o lo scivolamento. C. M. Roland, scienziato esperto del lattice e di­rettore di Rubber Chemistry Land Technology, nel 1992 spiegava in u­na lettera pubblicata dal Washing­ton Times che già nella prevenzio­ne delle gravidanze si registra un 12% di fallibilità malgrado i pori del lattice (5 micron) siano 10 volte più piccoli dello sperma.

Una fallibilità che aumenta esponenzialmente nel caso del virus dell’Aids perché questo ha una dimensione di 0,1 micron, ovvero può facilmente tro­vare un passaggio nel profilattico anche ipotizzando un suo uso ot­timale. Questi rischi sono ancora più elevati in Africa perché il caldo e le modalità di conservazione dei profilattici contribuiscono note­volmente a deteriorare il lattice. Il metodo ABC. Sono ancora gli studi scientifici a dimostrare che l’arma davvero efficace contro il vi­rus dell’Aids – oltre ovviamente ai farmaci antiretrovirali, di cui an­che il Papa ha ricordato l’impor­tanza – è l’educazione alla integra­lità dell’uomo, che in termini di strategie è stata tradotta nell’ABC: (A, astinenza), fedeltà a un unico partner ( B, be faithful)), C ( con­dom, preservativo), dove l’accen­to è messo soprattutto sulle prime due strade. È il caso dell’Uganda, l’unico Paese dove si sia riscontra­ta una diminuzione nel tasso di in­cidenza dell’epidemia, a dimostra­re la bontà di questo approccio, scelto dal presidente Museveni già all’inizio degli anni ’ 90.

Secondo un rapporto di UsAid (l’agenzia go­vernativa statunitense che si occu­pa di aiuti allo sviluppo) in 15 an­ni c’è stata una riduzione nel tasso di infezioni del 75% nel gruppo di età tra i 15 e i 19 anni, del 60% tra i 20 e i 24 anni, e del 54% nel suo complesso. E questo perché è sta­to ridotto del 65% il sesso con part­ner casuali. Questa conclusione viene condivi­sa dalla rivista Science con un arti­colo pubblicato già nel 2004 in cui si esclude che l’uso dei profilattici abbia avuto un ruolo significativo nella positiva evoluzione.

Dato ul­teriormente confermato dalla lun­ga ricerca condotta sul campo, in Africa, da Helen Epstein, che ha raccolto i dati in un libro pubbli­cato nel 2007 ( La cura invisibile: l’Africa, l’Occidente e la lotta contro l’Aids), in cui attacca l’Occidente perché si ostina a ignorare che l’u­nica strategia che funziona contro l’Aids è, appunto, la «cura invisibi­le » , ovvero l’educazione, il cam­biamento dei comportamenti ses­suali.
Riccardo Cascioli

19 marzo 2009

aids e preservativi/2

imageIl fiocchetto sulla giacca me lo sono messo un po' di volte pure io, c’è un sacco di gente che ci va in giro, se vuoi tenerti sulla breccia è un must.

Le statistiche 2004 del Joint United Nations Programme su HIV/AIDS (UNAIDS) -salvo diversa indicazione, tutte le cifre che troverete in questo post provengono dalla stessa fonte- dicono che i malati di HIV/AIDS sono, nel mondo, quasi 39 milioni e mezzo. La cifra è ricavata per approssimazione (è difficilissimo avere dati certi): il range dei contagiati varia da un minimo di 36 milioni a un massimo di 44 milioni e rotti, i nuovi contagi sono stimati a 3 milioni ogni anno. Rispetto alle previsioni di diffusione stilate nel 1991, c’è uno sforamento del 150%.

Quasi il 65% dei malati di AIDS vive nell'Africa sub-sahariana: sono più di 25 milioni gli africani infetti; secondo il rapporto del 1997 erano circa 5 milioni, si sono quintuplicati in meno di dieci anni. Anche a voler prendere con le molle il rapporto 1997 (la raccolta dei dati era effettuata con mezzi del tutto inadeguati), si può pensare che si sia soltanto triplicato: ma se si considera che questo è il risultato di dieci anni di lotte, si tratta di un risultato desolante. In Botswana, Repubblica Centrale Africana, Lesotho, Malawi, Mozambico, Ruanda, Swaziland, Zambia e Zimbawe l'aspettativa di vita alla nascita è scesa sotto i 40 anni. Nello Swaziland, un piccolo regno di 2 milioni di persone circondato dal Sud Africa, la percentuale di malati ha raggiunto il 42,6%, la più alta del mondo: e continua a crescere, tre anni fa, nel 2002, era il 38,6%. Il resto dell'Africa sub-sahariana non sta tanto meglio; secondo alcuni attivisti, si va incontro alla completa distruzione delle popolazioni coinvolte.

I numeri mostrano impietosamente che la strategia di contenimento, prevenzione e cura dell’AIDS praticata dall’ONU, per la quale sono stati spesi miliardi di dollari, è miseramente fallita, continua a fallire ogni giorno, provocando la morte di centinaia di migliaia di malati.
Il che, volendo, potrebbe anche rientrare nell’ordine naturale delle cose: nessuno è infallibile, ci abbiamo provato, non ci siamo riusciti.
Meno “naturale” è che mentre si perpetua il vero e proprio olocausto dell’Africa nessuno, fra i capoccioni dell’ONU, sembra prenderne atto (anche se nell’ultima conferenza, tenutasi a Bangkok, qualche voce indipendente ha cominciato a interrogarsi sulla validità di una strategia basata unicamente sulla diffusione –o meglio: sulla vendita…- dei profilattici…).
Ancora meno naturale è che nessuno, fra i suddetti capoccioni, si interroghi sui perché di questo tragico fallimento.

Volete saperla, una cosa? Provo a dirvela con la voce di Grillo (si, quel blogger che ogni tanto fa anche il comico in TV), voi sforzatevi un po' con l'immaginazione ma non vi mettete a ridere, non c’è niente da ridere, qui la gente muore.
Non esiste, non è mai stato fatto uno studio vero, serio, “scientifico”, che non dico “dimostri”, ma almeno “esamini” l’effettiva capacità dei condoms di opporsi al contagio da HIV. E' vero, lo giuro. Il presupposto è che, siccome è efficace (più o meno al 90%) contro il concepimento e le malattie veneree, si suppone che funzioni alla stessa maniera contro l’HIV.
E guai a quelli che fanno notare che il virus HIV è 470 volte più piccolo di uno spermatozoo, e magari, in una grata costruita per una cosa 470 volte più grande, ci passa senza grossa fatica; ma sia pure, tralasciamo le “dicerie”, restiamo a quelli che sono i dati ufficiali.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli studi sull’efficacia dei condoms contro l’AIDS sono pochi, frammentari e imprecisi. La stessa OMS sostiene però che l’efficacia contro l’AIDS di un preservativo “usato correttamente” e “con regolarità” è del 90%; la stessa cosa è stata ribadita su Lancet, in un illuminante articolo, alla fine del 2004. Ovvero, secondo loro, presumibilmente, nove volte su dieci funziona.

Ed è così che stanno assassinando l’Africa.

C’è chi, con una certa asprezza, ha parlato di “sacrifici umani” offerti dall’ONU sull’altare del dio condom. Già ci sarebbe da disquisire giornate intere su “con regolarità”: come se, in un paese dove per avere un’aspirina a volte è necessario farsi 20 miglia a piedi, i preservativi potessero essere trovati sotto gli alberi. E poi, l’inganno linguistico di quel “se usato correttamente”: che diavolo significa? Tutto e niente, è una scappatoia come un’altra per poter dire una scemenza (una scemenza potenzialmente mortale, omicida) senza subirne le conseguenze.
Ancora più grave è la questione del “90% dei casi”. Io vorrei sentirlo, uno dei signori dell’ONU, o della OMS, mentre dice che lanciarsi da un aereo con un paracadute che si apre nove volte su dieci è uno sport sicuro.
In ambito HIV/AIDS una “sicurezza” del 90% significa che, su dieci rapporti, uno è a rischio contagio. Significa che, tanto per dire, una prostituta che, usando sempre il preservativo, avesse tre clienti al giorno in un paese in cui il 20% degli abitanti è malato, in un mese avrebbe –mia statistica approssimativa- almeno tre occasioni di contrarre l’infezione.
Significa che, a meno di interventi sovrannaturali, dopo un anno (36 esposizioni) quella prostituta sarà contagiata, e, considerate le condizioni sanitarie dell’Africa, sarà poco più che una condannata a morte. Una condannata che condannerà a morte un cliente su venti fra quelli che la frequenteranno prima che si ammali così gravemente da non poter più esercitare il suo nobile mestiere.
Significa che chi le ha detto che poteva prostituirsi purché usasse il preservativo, che poteva “stare tranquilla” (nel 90% dei casi, purché usato ecc. ecc.) è responsabile della morte di quella prostituta, e di tutti quelli che da lei sono stati contagiati.
Secondo uno studio condotto dal professor Norman Hearst, della University of California, nel Botswana le vendite dei profilattici sono salite da 1 milione nel 1993 a 3 milioni nel 2001 mentre la prevalenza di HIV è salita dal 27% al 45%. Nel Camerun le vendite di profilattici sono salite da 6 milioni a 15 milioni mentre la prevalenza di HIV è salita dal 3% al 9%.
Alcuni ricercatori dell'University College Medical School, di Londra rilevano che la pubblicità data al preservativo nella lotta contro l'HIV/AIDS ha un effetto negativo, dato che il senso di sicurezza offerto dal profilattico porta le persone a comportamenti sessuali più rischiosi (sarebbe questo, tra l’altro, il motivo per cui anche nella civilissima e avanzatissima Europa, e negli USA, anziché regredire, l’AIDS continua a diffondersi).
Ma è l’Africa, il vero scandalo, il vero orrore di questa politica. Riempire l’Africa di preservativi è servito soltanto a diffondere il virus fra persone che erano state illuse di essere al sicuro. Un illusione mortale, un inganno mortale. Con i milioni di dollari spesi nell'industria dei profilattici si sarebbe potuto fare molto di più per i giovani dell'Africa, per la loro educazione, per il loro sostentamento e per la prevenzione efficace contro il contagio da HIV/AIDS. Alla prostituta non bisogna dare preservativi, bisogna impedire di prostituirsi: per la salvezza della vita sua e dei suoi clienti. Bisogna educare i clienti a non frequentare le prostitute, non tranquillizzarli sulla (presunta) efficacia del preservativo. Diversamente, si è complici di un assassinio, di una strage, di un genocidio.

Insegna un noto principio di “salvezza aziendale” che non importa se sul lavoro hai fatto un casino, purché ci sia qualcuno cui dare la colpa. Davanti a quello che è un vero e proprio olocausto, davanti alla palese (e mortale) dimostrazione dell’assoluta insufficienza della campagna politico-medico-scientifica, a qualcuno la colpa bisognerà pure darla.
Circa il 27% dell'assistenza sanitaria per le vittime dell'HIV/AIDS è fornito da organizzazioni della Chiesa e Ong cattoliche, come è stato scritto persino su Lancet.
Ciò nonostante (e volendo alzare fumo attorno alle evidenze descritte in precedenza), c’è un sacco di gente che accusa la Chiesa e il Papa di contribuire alla diffusione dell’AIDS, per la nota condanna, più volte ripetuta, dell’uso del preservativo.
Ci sarebbero da fare molte osservazioni “teologiche”, che mostrerebbero come la cagnara che ogni volta si alza attorno a questa posizione sia del tutto pretestuosa. Ma non è questo il momento, qui non si fa teologia, qui si usano le cifre ufficiali.
Non esistono, che io sappia –e ne ho cercate, credetemi!- statistiche che mostrino l’incidenza dell’HIV/AIDS in relazione all’osservanza religiosa dei contagiati (strano, no? Cosa ci sarebbe stato, di più utile, che dimostrare che il contagio si diffonde tra i cattolici che non usano il condom perché lo dice il Papa? O forse, proprio per questo, non è mica tanto strano, che l'ONU non faccia statistiche…).
Bisogna arrangiarsi. I dati sulla diffusione mondiale dicono che, ad esempio, nei paesi a forte islamizzazione (l’Africa sahariana e il medio oriente, tanto per capirci), l’AIDS è un rischio praticamente inesistente. Che in India il fenomeno è limitato quasi esclusivamente alle grandi città; e che nel cattolicissimo Sud America (altra area a rischio, per la povertà diffusa) le percentuali di contagio sono pressoché pari a quelle europee, con forti picchi nelle grandi città e scarsissima diffusione nel resto del paese. Ci diciamo un’ovvietà? Lì dove i costumi, per cause religiose o sociali, limitano la promiscuità sessuale, la diffusione dell’HIV/AIDS è tenuta “sotto controllo”, con buona pace di quelli che pensano che mettersi un preservativo per scopare con il/la primo/a che capita sia più importante che sopravvivere. Ovvio, ma evidentemente poco importante, se non ne parla nessuno, mentre col preservativo ci riempiono le orecchie, e con quanto è cattivo il Papa ci riempiono un’altra cosa.
Ma si parlava di Africa.
Credere all'idea sottilmente razzista che gli africani siano robot privi di volontà e discernimento, che si comportano meccanicamente secondo quello che dice il Papa, è già palesemente ridicolo. Lo è ancora di più se consideriamo le effettive possibilità che un africano ha di venire a conoscenza delle parole del Papa, e il peso che possono assumere nelle sue decisioni.
C’è poi quello che ho chiamato il romanzo della bomba: ovvero, un africano (o chiunque, in qualsiasi posto) che, in barba a tutti gli insegnamenti del Papa, decidesse di vivere una promiscuità sessuale del tutto sregolata, e poi non usasse il preservativo “perché lo dice il Papa” sarebbe un po’ come un terrorista che vuole compiere una strage, ma si preoccupa di metterla in atto senza disturbare la quiete pubblica. Ripetere a pappagallo infondate accuse di matrice ideologica, contraddette dall’evidenza dei numeri, non salverà gli africani: salverà, però, le poltrone di coloro che li stanno condannando a morte. Come la laicissima (e dunque onestissima… o no?) Emma Bonino, Alto Commissario ONU, che quando ai suoi sodali di partito ha dovuto parlare dei problemi dell’Africa, fra tante cose che poteva dire, ne ha individuato uno solo: il presidente ugandese Museweni, definito “un dittatore sanguinario al soldo degli USA”. Un tiro al bersaglio, un killeraggio politico che ha una ragione ben precisa, la vedremo fra poco.
C’è chi si è preso la briga di fare due calcoli: ve li riporto, così come li ho trovati.
Nello Swaziland, dove i malati sono più del 42%, i cattolici sono il 5% della popolazione.
Nel Botswana, le percentuali sono 37% e 4%, in Sud Africa 22% e 6%. Come già detto, non si hanno dati certi sulla diffusione della malattia tra cattolici e non.
Ciononostante, si sente dire in continuazione che il Papa è responsabile della diffusione dell’HIV/AIDS, ci sono giornali che non hanno avuto vergogna di pubblicare articoli nei quali Giovanni Paolo II veniva dipinto come “il più grande assassino del secolo”. L’evidenza dei numeri, semmai, ci dice che gli assassini sono gli altri: gli ideologi del preservativo, gli antipapisti per partito preso, proprio quelli che fanno tanta cagnara e alzano il polverone per coprire l’orribile realtà che hanno creato e che sta uccidendo l’Africa.

In tutto il mondo (persino nella liberissima, modernissima, laicissima Francia, in Germania, negli USA) l’HIV/AIDS è in aumento; si considera “un successo” mantenere stabile la percentuale dei contagiati. In Africa, abbiamo visto, il contagio si diffonde a macchia d’olio. C’è, in tutto il mondo, un solo paese che fa eccezione: l’Uganda. Negli anni ‘90, era malato circa il 15% degli ugandesi; oggi, secondo l’ONU, la percentuale è scesa al 4% (in Uganda i cattolici sono il 22% della popolazione; deve essere per colpa del Papa se non si ammalano più come prima, vedrete che appena se ne accorgono lo fanno nero. No, non è che fanno il Papa Nero, quella è un’altra storia).
In verità, non è per “colpa” del Papa se gli ugandesi quasi non si ammalano più, se l’Uganda è l’unico stato ad aver registrato un “trend positivo” nei risultati della lotta all’HIV/AIDS. Anzi, il Papa non c'entra quasi per niente.
Lo chiamano programma ABC: fu lanciato all’inizio degli anni ’90. Allora, provocò, da parte dei consueti soloni, critiche al vetriolo: secondo loro, era destinato a un rovinoso fallimento, e avrebbe drammaticamente peggiorato le condizioni del paese.
Tutto questo perché, anziché confidare nella incerta, fallibile meccanicità del condom, il programma aveva per scopo quello di educare gli ugandesi alla prevenzione responsabile e partecipata: Abstinence, Be-faithful, use-Condom: tre gradini di prevenzione, tre scelte in serie: praticare l’astinenza, praticare la fedeltà al partner, se proprio capita qualcosa di diverso (e quindi pericoloso) usare il preservativo. Insomma, invece di acquistare profilattici in quantità milionarie e distribuirli alla popolazione fregandosene del resto, il governo ugandese del presidente Museweni (si, quello che sarebbe “il sanguinario dittatore al soldo degli USA”, il solo male dell’Africa secondo la Bonino) ha scelto di puntare sull’uomo, sui cittadini. Hanno comprato un po’ di preservativi in meno, e hanno utilizzato i fondi nelle scuole, alla radio, sui giornali, nei consultori. Propaganda, educazione: incaricati che giravano nei paesi più sperduti ad istruire, spiegare. Poco a poco, gli ugandesi sono stati istruiti sui rischi dell’AIDS, sulle modalità di diffusione, sui metodi di prevenzione. Astinenza, Fedeltà al partner, e poi, e se di quella scopata “a rischio” non se ne può proprio fare a meno, il profilattico.
“L’originalità ed il coraggio di questo programma stanno nella preminenza affidata alla responsabilità personale (astinenza e partner unico) rispetto alle soluzioni tecnico-medicali (condom). Tale programma, criticato fortemente da organizzazioni pubbliche e private (ugandesi ed internazionali) perché tacciato di semplicismo e dilettantismo, è stato e viene attuato con la collaborazione soprattutto della società civile con un coinvolgimento importante delle comunità religiose cristiane e musulmane, cui si deve probabilmente attribuire una delle chiavi del suo successo: e risiede qui il secondo fattore di originalità del programma ugandese. Per esempio il programma di prevenzione della trasmissione del virus HIV dalla madre al bambino (PMTCT: Prevention of Mother to child HIV Transmission Programme) viene integrato da tutta una serie di attività complementari tese a sostenere le future madri in tutti gli aspetti critici della loro condizione, che va dall’accompagnarle nell’esperienza del parto, alla cura del nuovo nato, all’assistenza ed educazione alimentare, fino ad azioni che facilitano il sostentamento economico incoraggiando attività lavorative o comunque di produzione di reddito. Tali azioni vengono portate avanti da comunità di base e da ong locali ed internazionali (come l’italiana AVSI, che vanta una forte presenza nel paese dagli anni ‘80), che affiancano le organizzazioni statali, spesso migliorando di molto gli indici di successo del programma.” (D. Bassi, Univ. degli Studi di Milano)
Con questo sistema (che, curiosamente, ricorda un po’ la tanto criticata morale cattolica: ma non ditelo in giro, sennò gli Illuminati Custodi della Verità Moderna, come la suddetta Bonino, vi rispondono che è un sistema barbaro e medioevale, e chi se ne frega se è l’unico che funziona, che salva vite umane, l’importante è non dare retta al Papa assassino) l’Uganda ha ridotto drasticamente le percentuali di contagio: unico paese in controtendenza di tutta l’Africa sub-sahariana, di tutto il mondo.
Chissà perché, quando si parla di lotta all’AIDS, nessuno lo dice. Basterebbe dire la verità, e non è difficile: ragazzi/e, se non andate in giro a scopare con il/la primo/a che capita, l’AIDS non ve lo prendete; e non ve lo prendete neanche se avete un/una partner fisso/a, e siete fedeli entrambi. Scoperanno un po’ di meno, ma resteranno sani, resteranno vivi. In Uganda l'hanno fatto, e ha funzionato. Ma, evidentemente, hanno dato fastidio a qualcuno: quale ricompensa per essere l’unico paese ad aver avuto successo nella lotta all’AIDS, recentemente l’Uganda si è vista cancellare i fondi elargiti dall’ONU a questo scopo. Eh, già, imperdonabile: hanno sgarrato, non si sono adeguati alla condomizzazione meccanica, forzata, inutile. Rifiutarsi di praticare il genocidio della propria nazione, ed educare i propri cittadini a una sessualità responsabile, è evidentemente considerato intollerabile dai signori dell’ONU.

Il fiocchetto rosso, quello della lotta all’AIDS, lo portano in tanti, in tanti si riempiono la bocca di belle parole fritte e rifritte. Come Steve Lewis, inviato del Segretario Generale per la lotta all’AIDS in Africa. Il miglior commento l’ha scritto Martin Ssempa, ugandese, direttore del programma ABC, in una lettera allo stesso Segretario Generale:
“We are tired of these western officials who fly in a few hours and become experts in our campaign. Steve Lewis should come to Uganda and spend a few months at the feet of activists who are on the frontline of ABC. He is spending far too much time doing teleconferences, flying from conference to conference and listening to his stooges who keep telling him what he wants to hear..."there is not enough condoms. Send us more so we can condomise the world".

Ancora Daniele Bassi: “Molti dei fallimenti dei programmi volti a sconfiggere l’AIDS sono da far risalire al prevalere di una mentalità naturalistica, in fondo venata da una sfiducia di fondo nelle capacità del singolo, che propone soluzioni meccanicistiche (tecnico sanitarie, come condom e vaccini). Al contrario, l’approccio che fa leva sull’educazione al valore della persona e sulla fiducia nelle sue capacità di cambiare comportamento, appare invece vincente.
Non si tratta ovviamente di anteporre un approccio all’altro, bensì di inserire gli strumenti tecnici in un in un contesto sociale ricco di relazioni”.
La “lotta all’AIDS” che pretende di prescindere dall’uomo è destinata al fallimento. Deresponsabilizzare gli individui, dare loro l’illusione di una (presunta) libertà garantita asetticamente da fallibili mezzi meccanici, di cui si è strumentalmente stabilita un’illusoria efficacia, è servito soltanto a trasformare un’emergenza in un genocidio.
Le ideologie non hanno mai sconfitto nessuna malattia. E’ solo puntando sulla responsabilità personale, educando correttamente le popolazioni a rischio (tutte, mica solo gli africani…) a tenere comportamenti adeguati, che la battaglia potrà essere vinta.

By Slowhand, 21/9/2005

Pubblicato su OCE

18 marzo 2009

Aids e preservativi


«Penso che la realtà più efficiente, più presente e più forte nella lotta contro l'Aids sia proprio la Chiesa cattolica con le sue strutture, i suoi movimenti e comunità. Penso a Sant’Egidio che fa tanto nella lotta contro l’Aids, ai camilliani, alle suore a disposizione dei malati. Non si può superare il problema dell’Aids solo con i soldi, che pure sono necessari, se non c’è anima che sa applicare un aiuto.
E non si può superare questo dramma con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può essere duplice, l’umanizzazione della sessualità e una vera amicizia verso le persone sofferenti, la disponibilità anche con sacrifici personali ad essere con i sofferenti.
Questa è la nostra duplice forza: rinnovare l’uomo interiormente, dargli forza spirituale e umana per avere un comportamento giusto e insieme la capacità di soffrire con i sofferenti nelle situazioni di prova. Mi sembra la giusta risposta che la Chiesa dà, un contributo importante».

(Benedetto XVI)

Personale riflessione a margine:
Il principale mezzo di diffusione dell'aids sono senz'altro i rapporti sessuali occasionali e promiscui. Il preservativo permette di avere rapporti sessuali occasionali e promiscui. Il preservativo non difende dall'aids, preserva solo una mentalità sessuale consumistica e perversa con una finta e pretesa "sicurezza".