06 giugno 2011

Il senso religioso (in letteratura)



Il "punto di fuga" è un aspetto dell'esperienza che l'uomo compie, per cui l'orizzonte non è vagliato totalmente. La realtà è sempre segno che rimanda ad altro, a un punto di fuga che suscita interrogativi e di cui la ragione deve tener conto.

"Il bottaio deve intendersi di botti.
Ma io conoscevo anche la vita,
e voi che gironzolate fra queste tombe
credete di conoscere la vita.
Credete che il vostro occhio abbracci un vasto
orizzonte, forse,
in realtà vedete solo l'interno della botte.
Non riuscite a innalzarvi fino all'orlo
e vedere il mondo di cose al di là,
e a un tempo vedere voi stessi.
Siete sommersi nella botte di voi stessi –
tabù e regole e apparenze
sono le doghe della botte.
Spezzatele e rompete la magia
di credere che la botte sia la vita,
e che voi conosciate la vita!"
E. L. Masters - "Griffy il bottaio", in Antologia di Spoon River


"Sotto l'azzurro fitto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
«più in là»"
E. Montale - "Maestrale"


Quel "punto di fuga", quel punto in cui la realtà diventa segno di altro e per cui la conoscenza di qualsiasi cosa segnala l'insopprimibile esigenza di qualcosa d'altro oltre i fattori razionalmente dimostrabili. La ratio, la ragione non decifra il Mistero, ma rivela il segno della Sua presenza in ogni esperienza umana


"Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende"
Dante - Purgatorio XVII, 127-129


"Spesso quand'io ti miro
star così muta in sul deserto piano,
che, in suo giro lontano, al ciel confina;
ovvero con la mia greggia
seguirmi viaggiando a mano a mano;
e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
Che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? Che vuol dir questa
solitudine immensa? Ed io che sono?"
G. Leopardi - "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia"


Il senso religioso definisce la natura dell'uomo, in quanto esprime le domande sul senso ultimo della vita. Il senso religioso è quindi quella caratteristica che qualifica il livello umano della natura, quello in cui essa prende coscienza di sé.


Chiuso tra cose mortali
(anche il cielo stellato finirà)
perché bramo Dio?
G. Ungaretti - "Dannazione"


Queste domande, proprio in forza della loro profondità, esigono una risposta totale. L'uomo quanto più tenta di rispondere a queste domande di significato, tanto più capisce di non esserne capace: la coscienza della sproporzione rispetto alla risposta totale che le domande esigono accompagna l'uomo nel suo cammino di ricerca del perché ultimo della vita.
L'uomo, se è leale in questa sua ricerca, ammette che la risposta alle domande fondamentali sta sempre oltre il limite cui arriva con la forza della sua ragione. La risposta sta in un insondabile Mistero cui l'uomo tende, ma che non riesce ad afferrare.
Questa dinamica esistenziale ha un riverbero di tristezza, si esprime cioè come desiderio di un bene che rimane inafferrabile. Tristezza come "desiderio di un bene assente", diceva san Tommaso


"Qualunque cosa tu dica o faccia
c'è un grido dentro:
non è per questo, non è per questo!"
C. Rebora - "Sacchi a terra per gli occhi"


"Non c'è cosa più amara
che l'alba di un giorno
in cui nulla accadrà.
Non c'è cosa più amara che l'inutilità.
La lentezza dell'ora è spietata
per chi non attende più nulla"
C. Pavese – "Lo steddazzu"
"Qualcuno ci ha forse promesso qualcosa?
E allora perché attendiamo?"
C. Pavese – da "Il mestiere di vivere"


Strutturalmente l'uomo attende, strutturalmente è mendicante; la vita consiste nell'attesa di un bene verso cui si tende ma che non si riesce a cogliere. L'uomo pone la domanda di un destino buono, domanda che implica la necessità di una risposta. L'essere umano porta dentro fin dall'origine la promessa di una risposta soddisfacente alle sue domande ultime, così che la vita diventa attesa che questa promessa si compia.
Solo l'ipotesi del Mistero come realtà è risposta adeguata al tipo di domanda che esprime il senso religioso dell'uomo:


"Uno sconosciuto è il mio amico, uno che io non conosco.
Uno sconosciuto lontano lontano.
Per lui il mio cuore è colmo di nostalgia.
Perché egli non è presso di me.
Perché egli forse non esiste affatto?
Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza?
Che colmi tutta la terra della tua assenza?"
P. Lagerkvist - "Uno sconosciuto è il mio amico"


La tristezza è il segno supremo e sottile della struttura del vivere umano: la tristezza della vita è il segno di un'altra vita, di una "riva lontana" che sappiamo "confusamente", direbbe Dante, debba esistere. Che poi dalla "riva lontana" abbia a giungere un battello, così che il mare dell'esistenza possa essere solcato per tutte le sue gioie e dolori con sicurezza, non è nelle nostre forze.
Ma che la vita sia triste, e fortunatamente, altrimenti sarebbe disperata, è il contenuto di una coscienza geniale, cioè più umana, di cosa sia il vivere.
Il vero umorismo scaturisce dalla malinconia… (cfr. l'ironia manzoniana)


"Quella noia significa che, nelle cose, noi cerchiamo, appassionatamente e dappertutto alcunché che le cose non possiedono. […] Si cerca e ci si sforza di prendere le cose così come si vorrebbe che fossero; di trovare in esse quel peso, quella serietà, quell'ardore e quella forza compiuta delle quali si ha sete: e non è possibile. Le cose sono finite. Tutto ciò che è finito, è difettoso. E il difetto costituisce una delusione per il cuore, che anela all'assoluto. La delusione si allarga, diviene il sentimento di un gran vuoto… Non c'è nulla, per cui valga la pena di esistere. Non c'è nulla, che sia degno che noi ce ne occupiamo. […] Noi sentiamo una insoddisfazione particolarmente violenta per ciò che è finito. […] Proprio l'uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell'esistenza. […] Per conto mio, io credo che di là da qualsivoglia considerazione medica e pedagogica, il suo significato sta in questo che è un indizio dell'esistenza dell'assoluto. L'infinito testimonia di sé, nel chiuso del cuore. La malinconia è espressione del fatto che noi siamo creature limitate, ma viviamo a porta a porta con… ebbene sì, abbandoniamo alla fine il termine troppo prudenziale e astratto, di cui ci siamo serviti sinora: il termine di "assoluto"; scriviamo, al suo posto, quello che solo si addice: viviamo a porta a porta con Dio. Siamo chiamati da Dio, eletti ad accoglierlo nella nostra esistenza. La malinconia è il prezzo della nascita dell'eterno nell'uomo. […] La malinconia è l'inquietudine dell'uomo che avverte la vicinanza dell'infinito. Beatitudine e minaccia a un tempo"
R. Guardini - Ritratto della malinconia


"Aveva saputo toccare nel cuore del suo amico le corde più profonde e provocare in lui la prima sensazione, ancora indefinita, di quella eterna santa tristezza che qualche anima eletta, una volta che l'abbia assaporata e conosciuta, non scambierà poi mai più con una soddisfazione a buon mercato (vi sono anche certi amatori così fatti che questa tristezza hanno più cara della soddisfazione più radicale, ammesso che una simile soddisfazione sia possibile)"
F. Dostoevskij - I demoni


La tristezza è la coscienza drammatica della sproporzione tra il destino ideale dell'uomo e tutto ciò che si fa per raggiungerlo L'opposto della tristezza è la disperazione, in quanto annulla la tensione delle domande ultime, negando che una risposta sia possibile.
Una tale coscienza considera il problema umano senza censurare nulla, né la "rugosa realtà" come scriveva Rimbaud, né la promessa che il cuore e la mente umani – se sono "giovani" – avvertono nella sfida delle circostanze, né la inevitabile delusione che si proietta sull'esistenza e che però non nega la natura di aspettativa del cuore.
Chi invece censura uno solo di questi fattori, inizia il terribile gioco delle censure che getta la vita nella disperazione. Tale è la sorte dell'orgoglio umano: pur di non riconoscere che la sua grandezza sta nella povera nostalgia di qualcosa che non è nelle sue forze, preferisce negare l'esistenza del reale (Laura Cioni)


"Il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nel senso che è senza inquietudine. Forse si potrebbe addirittura definirlo per la soppressione dell'inquietum cor meum agostiniano" (Augusto Del Noce). Un io dove non c'è più desiderio. Manca quell'inquietudine del desiderio presente invece in Leopardi (cfr. La sera del dì di festa)
Nella stessa ottica Montale descrive i preparativi che si effettuano prima di partire per un viaggio. Un viaggio moderno, in cui tutto è previsto nei minimi particolari. La meccanicità di questi movimenti, che pure preparano ad un evento, a una vacanza, è enfatizzato dall'accumularsi di oggetti e di azioni. Numerosi e senza senso. E dove manca il necessario: il "mio viaggio"


"Prima del viaggio si scrutano gli orari,
le coincidenze, le soste, le pernottazioni
e le prenotazioni (di camere con bagno
o doccia, a un letto o due o addirittura un flat);
si consultano le guide Hachette e quelle dei musei,
si cambiano valute, si dividono
franchi da escudos, rubli da copechi;
prima del viaggio s'informa
qualche amico o parente, si controllano
valige e passaporti, si completa
il corredo, si acquista un supplemento
di lamette da barba, eventualmente
si dà un'occhiata al testamento, pura
scaramanzia perché i disastri aerei
in percentuale sono nulla;
prima
del viaggio si è tranquilli ma si sospetta che
il saggio non si muova e che il piacere
di ritornare costi uno sproposito.
E poi si parte e tutto è O.K. e tutto
è per il meglio e inutile.
……………………………………
E ora, che ne sarà
del mio viaggio?
Troppo accuratamente l'ho studiato
senza saperne nulla. Un imprevisto
è la sola speranza. Ma mi dicono
che è una stoltezza dirselo"
E. Montale - "Prima del viaggio", in Satura (1962-1970)


Un "imprevisto" è altro dal viaggio, eppure contiene la possibilità di dire "mio". I saggi di questo mondo, spesse volte compreso lo stesso Montale, ripetono che è "una stoltezza dirselo", negando un'ultima apertura alla possibilità che accada qualcosa di "imprevisto" e cioè che il miracolo passi per caso sulle nostre strade consuete. Come è stato per Zaccheo. Proprio all'usuraio di Gerico, Montale dedica una breve lirica:


"Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro
per vedere il Signore se mai passi.
Ahimè, non sono un rampicante ed anche
stando in punta di piedi non l'ho mai visto
E. Montale - "Come Zaccheo", in Diario del '71 

24 maggio 2011

Aggiornamento sulla pedofilia nella Chiesa

Aggiornamento sulla pedofilia nella Chiesa

di Bruno Mastroianni, 4.5.10
I numeri, i documenti, la condotta di Benedetto XVI e la spiegazione dei casi emersi. Come la Chiesa sta mettendo mano a una ferita di cui è consapevole.


I NUMERI: QUANTI SONO I CASI DI ABUSO?
 

La conta degli effettivi di casi di pedofilia da parte degli ecclesiastici non serve per sminuire il fenomeno, ma per capirlo nelle sue giuste dimensioni. 

USA: 
Secondo lo studio del 2004 del John Jay College of Criminal Justice (link) i sacerdoti accusati di relazioni sessuali con i minori sono dal 1950 al 2002 circa 4.392. Massimo Introvigne in un articolo sull’Avvenire ha fatto notare che di questi, quelli accusati di effettiva pedofilia sono 958. I condannati in tutto 54, poco più di uno all’anno (i sacerdoti e i religiosi negli Stati Uniti sono circa 109.000). Per avere una misura di paragone nello stesso periodo negli USA, sono state 6.000 le condanne relative a professori di ginnastica e allenatori giudicati colpevoli dello stesso reato dai tribunali statunitensi. 
Il fenomeno oggi negli USA è drasticamente ridotto: uno studio commissionato dall Conferenza Episcopale Nord Americana (link) dichiara che nel 2009 sono in esame solo 6 casi sospetti, su 109.000 sacerdoti. 
Il periodico Newsweek (link) ha registrato che le compagnie di assicurazione americane non fanno pagare un premio maggiore per assicurare contro gli abusi nelle istituzioni cattoliche: stando ai dati non c'è un maggiore rischio. 

Germania:
 in un articolo del Giornale, Andrea Tornielli, riporta che in Germania dal 1995 sono stati denunciati 210mila casi di reati contro minori, i casi sospetti avvenuti nell’ambito della Chiesa cattolica sono 94 (1 su 2000).

Irlanda:
 il Rapporto Ryan del 2009 (link) ha registrato le testimonianze di casi di violenze (non solo sessuali ma soprattutto fisiche e psicologiche) nel sistema scolastico dell'isola dal 1914 al 2000, riscontrando 381 persone che hanno dichiarato di aver subito abusi sessuali  da parte di personale scolastico, visitatori, alunni più grandi e solo in piccola parte da chierici. Il Rapporto Murphy (link) sulla diocesi di Dublino ha registrato dal 1974 al 2009 le testimonianze di 440 persone che accusano sacerdoti. 

Malta:
 secondo i dati forniti da una Commissione istituita ad hoc (link) dagli anni '70 ad oggi sono stati accusati 45 sacerdoti. In 19 casi le accuse sono state respinte perché infondate, 13 casi sono ancora da esaminare e 13 sono sotto processo. Di questi ultimi 4 son stati condannati, 7 devono essere ancora ascoltati dalla Santa Sede e 2 sono deceduti. 

Congregazione dottrina della fede
: Mons. Scicluna, della Congregazione per la Dottrina della Fede, inun'intervista ha dichiarato che dal 2001 al 2010, la Congregazione si è occupata di circa 3000 casi di sacerdoti diocesani e religiosi che riguardano delitti commessi negli ultimi cinquanta anni. Solo nel 10 per cento dei casi si tratta di atti di pedofilia, quindi circa 300 in tutto il mondo. Il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400 mila. 


DOCUMENTI E DISPOSIZIONI ESPLICITE
 

Nei discorsi sulla pedofilia si tirano in ballo alcuni documenti dando l’informazione errata che conterrebbero istruzioni per la copertura dei casi di pedofilia. In realtà tutti i documenti sono ufficiali e pubblici, e l’atteggiamento di condanna agli abusi è chiaro e forte. Le incomprensioni nascono da cattive traduzioni e imprecisioni dovute al fatto che i documenti sono redatti in latino e non vi erano fino a poco tempo fa traduzioni ufficiali in altre lingue. 

Il primo è l’istruzione “Crimen sollicitationis” (testo latino) un testo del 1922 riedito da un Giovanni XXXIII nel 1962 che si occupa del reato di istigazione a cose turpi da parte dei confessori. Il documento, che tratta principalmente di altri abusi, fa un riferimento anche alla pedofilia chiamandola crimen pessimum. Nel documento è esplicito l’obbligo di denunciare i crimini (traduzione in italiano non ufficiale dei passi più espliciti). 

Il secondo è il "De delictis gravioribus" (testo latino, in italiano) firmato da Joseph Ratzinger e Tarcisio Bertone nel 2001, fu redatto per dare corso al motu proprio “Sacramentorum sanctitatis tutela” (testo latino, initaliano) di Papa Giovanni Paolo II che, proprio per evitare insabbiamenti e pasticci locali, assegna la competenza in materia di pedofilia alla Congregazione per la dottrina della fede. 

La conferma di tutto ciò l'hanno data anche le Linee guida che seguirono l'istruzione: informare la Santa Sede, seguire le disposizioni della giustizia civile, allontanare il sospetto dalle attività pastorali. 

Se ci sono stati insabbiamenti e omissioni, essi si devono a una mancanza di fedeltà alle disposizione del Papa e del Magistero.


 L'AZIONE DI BENEDETTO XVI 

Papa Benedetto XVI, prima come Prefetto della Dottrina della Fede poi come Papa è, senza dubbio colui che più si è impegnato a correggere questa piaga nella Chiesa. Da leggere la recente Lettera ai cattolici irlandesi. In essa c’è una chiara condanna del fenomeno e un forte invito ai vescovi a prendersi le proprie responsabilità per riparare e far sì che non accada in futuro. Stessa chiarezza e determinazione che il Papa ha mostrato durante il suo viaggio negli USA (qui una rassegna dei suoi interventi sulla pedofilia) e in Australia (qui una rassegna dei suoi interventi). 


I CASI DI CUI SI E' PARLATO SUI MEDIA 


Finora sulla stampa sono stati tirati in ballo alcuni casi di pedofilia che in qualche modo sembrano toccare il Pontefice. Ognuno, visto da vicino, dimostra da parte di Ratzinger una condotta limpida e cristallina: 

1. Padre Murphy a Milwakee: è il caso di un sacerdote macchiatosi di reati di pedofilia negli anni ’70. Le carte dicono che la Congregazione per la Dottrina della Fede (di cui era prefetto allora Ratzinger) fu consultata 20 anni dopo i fatti per una accusa di crimine di sollecitazione (e non per gli abusi). La Congregazione invitò a tenere il sacerdote comunque alla larga dalle attività pastorali nonostante fossero passati così tanti anni senza evidenze di altri crimini e nonostante la stessa giustizia civile aveva archiviato il caso (qui la spiegazione completa). 

2. Padre Kiesle a Oakland: 
è il caso di una lettera del 1985 in cui il Card. Ratzinger invita a non concedere in fretta la dispensa dal celibato a un sacerdote accusato di pedofilia e già sotto processo per l'espulsione dal sacerdozio. Alcuni media hanno confuso le due cose: la dispensa dal celibato (che è una concessione) dall'espulsione dal sacerdozio che è una pena (qui la speigazione completa). 

3. Padre H nella arcidiocesi di Monaco e Frisinga: un pedofilo trasferito nella diocesi all’epoca in cui Ratzinger era arcivescovo. Il caso risale al 1980. È emerso nel 1985 ed è stato giudicato da un tribunale tedesco nel 1986. Il cardinale Ratzinger era estraneo alla vicenda come ha ammesso il suo vicario dell'epoca (qui la spiegazione). 

4. Il fratello del Papa: è sembrato che due casi di abuso avvenuti a Ratisbona intorno al ’58 che è sembrato toccassero il fratello del Papa. In realtà i casi sono entrambi noti, giuridicamente chiusi e riguardanti un periodo diverso dalla direzione del coro da parte di Georg Ratzinger dal 1964 al 1994 (vedere già citato articolo di Tornielli che spiega i due casi). 


IL CELIBATO NON C'ENTRA CON LA PEDOFILIA 

Si è sentito anche parlare di un nesso tra pedofilia e celibato. Lo psichiatra Manfred Lutz, uno dei maggiori esperti del tema, in una recente intervista ha spiegato come questo nesso non ci sia affatto, anzi, gli esperti affermano che chi vive l’astinenza sessuale è meno a rischio di commettere abusi rispetto a chi è sposato. Nelgià citato articolo di Introvigne si riportano gli studi di Jerkins che hanno registrato come i casi di pedofilia siano presenti in misura maggiore tra le diverse denominazioni protestanti ove i pastori possono contrarre matrimonio. Anche il dato già citato dei 6.000 casi di abuso negli Stati Uniti nello stesso periodo di quelli ecclesiastici sono ad opera in maggioranza di persone sposate. Insomma un nesso tra celibato e pedofilia non sembra esserci.

13 maggio 2011

GPII e Einstein

Discorso di Giovanni Paolo II per la commemorazione della nascita di Albert Einstein, 10 novembre 1979

La ricerca della verità è il compito della scienza fondamentale - La scienza applicata come alleata della coscienza - Libertà religiosa e libertà della ricerca scientifica - Galileo ed Einstein grandi figure di scienziati; sprone ad approfondire le vicende storiche vissute dal primo per favorire il dialogo odierno tra scienza e fede - L'esegesi proposta da Galileo per ottenere un'armonia tra le verità della scienza e le verità della fede - Riconoscimento dell'importanza del ruolo della Pontificia Accademia delle Scienze al cui interno scienziati, credenti e non credenti, lavorano, concordi nella ricerca della verità e nel rispetto di tutte le fedi.

Signori Cardinali, Eccellenze, Signore e Signori
1. La ringrazio vivamente, Signor Presidente, delle parole ferventi e calorose indirizzatemi all'inizio del discorso. E mi compiaccio anche con Vostra Eccellenza come con i Signori Dirac e Weisskopf, tutti membri dell'illustre Accademia Pontificia delle Scienze, per questa solenne commemorazione della nascita di Albert Einstein.
Anche questa Sede Apostolica vuole rendere ad Albert Einstein il dovuto omaggio per il singolare eccelso contributo portato al progresso della scienza, ossia alla conoscenza della verità presente nel mistero dell'universo.
Io mi sento pienamente solidale col mio Predecessore Pio XI, e con quanti si sono succeduti su questa Cattedra Apostolica, nel richiedere ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, e con essi a tutti gli scienziati, che «facciano progredire sempre più nobilmente e intensamente le scienze, senza domandare loro niente di più; perché in questo eccellente proposito e in questo nobile lavoro consiste la missione di servire la verità, di cui noi li incarichiamo... » (Pio XI, In multis solaciis , 28 ottobre 1936: AAS 28 [1936] 424).
2. La ricerca della verità è il compito della scienza fondamentale. Il ricercatore che si muove su questo primo versante della scienza sente tutto il fascino delle parole di Sant'Agostino: «Intellectum valde ama» (S. Agostino, Epist . 120, 3,13: PL 33,459), ama molto l'intelligenza e la funzione che le è propria di conoscere la verità. La scienza pura è un bene, degno di essere molto amato, perché è conoscenza e quindi perfezione dell'uomo nella sua intelligenza: essa deve essere onorata per se stessa, ancor prima delle sue applicazioni tecniche, come parte integrante della cultura. La scienza fondamentale è un bene universale, che ogni popolo deve poter coltivare con piena libertà da ogni forma di servitù internazionale o di colonialismo intellettuale.
La ricerca fondamentale dev'essere libera di fronte ai poteri politico ed economico, che debbono cooperare al suo sviluppo, senza intralciarla nella sua creatività o aggiogarla ai propri scopi. La verità scientifica, infatti, è, come ogni altra verità, debitrice soltanto a se stessa e alla suprema Verità che è Dio creatore dell'uomo e di tutte le cose.
3. Sul suo secondo versante la scienza si rivolge all'applicazione pratica, che trova il suo pieno sviluppo nelle varie tecnologie. La scienza nella fase delle sue concrete realizzazioni è necessaria all'umanità per soddisfare le giuste esigenze della vita e per vincere vari mali che la minacciano.
Non v'è dubbio che la scienza applicata ha portato e porterà degli immensi servizi all'uomo, purché sia ispirata dall'amore, regolata dalla saggezza, «accompagnata dal coraggio che la difenda dall'indebita ingerenza di ogni potere tirannico. La scienza applicata deve allearsi con la coscienza, affinché nel trinomio scienza-tecnologia-coscienza sia servita la causa del vero bene dell'uomo».
4. Purtroppo, come ho già detto nella mia Enciclica Redemptor Hominis, «l'uomo d'oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce... In questo sembra consistere l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea» (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15).
L'uomo deve uscire vittorioso da questo dramma, che minaccia di degenerare in tragedia, e deve ritrovare la sua autentica regalità sul mondo e il pieno dominio sulle cose che produce. Ora, come già scrivevo nella stessa Enciclica «il senso essenziale della regalità, del dominio dell'uomo sul mondo visibile, a lui assegnato come compito dallo stesso Creatore, consiste nella priorità dell'etica sulla tecnica, nel primato della persona sulle cose, nella superiorità dello spirito sulla materia» ( Ivi , 16).
Questa triplice superiorità si mantiene in quanto si conservi il senso della trascendenza dell'uomo sul mondo e di Dio sull'uomo. La Chiesa , esercitando la sua missione di custode e vindice dell'una e dell'altra trascendenza, ritiene di aiutare la scienza a conservare la sua purezza ideale sul versante della ricerca fondamentale e ad assolvere il suo servizio all'uomo sul versante delle sue applicazioni pratiche.
5. La Chiesa , d'altra parte, riconosce volentieri di avere goduto di benefici che le provengono dalla scienza, alla quale, tra l'altro, si deve attribuire quanto il Concilio dice a proposito di alcuni aspetti della cultura moderna: «Anche la vita religiosa è sotto l'influsso delle nuove situazioni... un più acuto senso critico la purifica da ogni concezione magica del mondo e dalle sopravvivenze superstiziose ed esige sempre più una adesione più personale e attiva alla fede; numerosi sono perciò coloro che giungono a un più acuto senso di Dio» ( Gaudium et Spes, 7).
La collaborazione di religione e scienza torna a vantaggio dell'una e dell'altra, senza violare in nessun modo le rispettive autonomie. Come la religione richiede la libertà religiosa, così la scienza rivendica legittimamente la libertà della ricerca. Il Concilio ecumenico Vaticano II, dopo aver riaffermato col Concilio Vaticano I la giusta libertà delle arti e delle discipline umane, operanti nell'ambito dei propri principi e del proprio metodo, riconosce solennemente «la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze» ( Gaudium et Spes , 59). Nell'occasione di questa solenne commemorazione di Einstein desidero riconfermare le affermazioni conciliari sull'autonomia della scienza nella sua funzione di ricerca della verità scritta nel creato dal dito di Dio. Piena d'ammirazione per il genio del grande scienziato, in cui si rivela l'impronta dello Spirito creatore, la Chiesa , senza interferire in alcun modo, e con un giudizio che non le compete, sulla dottrina concernente i massimi sistemi dell'universo, la propone però alla riflessione di teologi, per scoprire l'armonia esistente tra la verità scientifica e la verità rivelata.
6. Signor Presidente! Lei nel suo discorso ha detto giustamente che Galileo e Einstein hanno caratterizzato un'epoca. La grandezza di Galileo è a tutti nota, come quella di Einstein; ma a differenza di questi, che oggi onoriamo di fronte al Collegio cardinalizio nel nostro palazzo apostolico, il primo ebbe molto a soffrire – non possiamo nasconderlo – da parte di uomini e organismi di Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto e deplorato certi indebiti interventi: «Ci sia concesso di deplorare – è scritto al n. 36 della Costituzione conciliare Gaudium et Spes – certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancarono nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro». Il riferimento a Galileo è reso esplicito dalla nota aggiunta, che cita il volume Vita e opere di Galileo Galilei , di Monsignor Paschini, edito dalla Pontificia Accademia delle Scienze.
A ulteriore sviluppo di quella presa di posizione del Concilio, io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l'esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede, tra Chiesa e mondo. A questo compito che potrà onorare la verità della fede e della scienza, e di schiudere la porta a future collaborazioni, io assicuro tutto il mio appoggio.
7. Mi sia lecito, Signori, offrire alla loro attenta considerazione e meditata riflessione, alcuni punti che mi appaiono importanti per collocare nella sua vera luce il caso Galileo, nel quale le concordanze tra religione e scienza sono più numerose, e soprattutto più importanti, delle incomprensioni che hanno causato l'aspro e doloroso conflitto che si è trascinato nei secoli successivi.
Colui che è chiamato a buon diritto il fondatore della fisica moderna, ha dichiarato esplicitamente che le due verità, di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi «procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio» come scrive nella lettera al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613 (Edizione nazionale delle Opere di Galileo, vol. V, 282-285). Non diversamente, anzi con parole simili, insegna il Concilio Vaticano II: «La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio» ( Gaudium et Spes , 36).
Galileo sente nella sua ricerca scientifica la presenza del Creatore che lo stimola, che previene e aiuta le sue intuizioni, operando nel profondo del suo spirito. A proposito della invenzione del cannocchiale, egli scrive all'inizio del Sidereus nuncius , rammentando alcune sue scoperte astronomiche: «Quae omnia ope Perspicilli a me excogitati divina prius illuminante gratia, paucis abhinc diebus reperta, atque observata fuerunt» (Galileo, Sidereus nuncius , Venetiis, apud Thomam Baglionum, MDCX, fol. 4). «Tutte queste cose sono state scoperte e osservate in questi ultimi giorni per mezzo del “telescopio” escogitato da me, in precedenza illuminato dalla grazia divina».
La confessione galileiana della illuminazione divina nella mente dello scienziato trova riscontro nella già citata Costituzione conciliare della Chiesa nel mondo contemporaneo: «Chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene condotto dalla mano di Dio» ( Gaudium et Spes , 36). L'umiltà richiamata dal testo conciliare è una virtù dello spirito necessaria tanto per la ricerca scientifica, quanto per l'adesione alla fede. L'umiltà crea un clima favorevole al dialogo tra il credente e lo scienziato e richiama l'illuminazione di Dio, già conosciuto e ancora ignoto, ma tuttavia amato, sia nell'un caso sia nell'altro, da chi umilmente ricerca la verità.
8. Galileo ha enunciato delle importanti norme di carattere epistemologico indispensabili per accordare la Sacra Scrittura con la scienza. Nella Lettera alla Granduchessa Madre di Toscana, Cristina di Lorena, Galileo riafferma la verità della Scrittura: «Non poter mai la Sacra Scrittura mentire, tutta volta che sia penetrato il suo vero sentimento, il qual non credo che si possa negare essere molte volte recondito e molto diverso da quello che suona il puro significato delle parole» (Edizione nazionale delle Opere di Galileo, Firenze 1968, vol. V, p. 315). Galileo introduce il principio di una interpretazione dei libri sacri, al di là anche del senso letterale, ma conforme all'intento e al tipo di esposizione propri di ognuno di essi. È necessario, come egli afferma, che « i saggi espositori ne produchino i veri sensi ».
La pluralità delle regole di interpretazione della Sacra Scrittura, trova consenziente il magistero ecclesiastico, che espressamente insegna, con l'enciclica Divino afflante Spiritu di Pio XII, la presenza di diversi generi letterari nei libri sacri e quindi la necessità di interpretazioni conformi al carattere di ognuno di essi.
Le varie concordanze che ho rammentato non risolvono da sole tutti i problemi del caso Galileo, ma cooperano a creare una premessa favorevole per una loro onorevole soluzione, uno stato d'animo propizio alla composizione onesta e leale dei vecchi contrasti.
L'esistenza di questa Pontificia Accademia delle Scienze, di cui nella sua più antica ascendenza fu socio Galileo e di cui oggi fanno parte eminenti scienziati, senza alcuna forma di discriminazione etnica o religiosa, è un segno visibile, elevato tra i popoli, dell'armonia profonda che può esistere tra le verità della scienza e le verità della fede.
9. Oltre la fondazione di questa Pontificia Accademia, la Chiesa ha voluto, per decisione del mio Predecessore Giovanni XXIII, promuovere e premiare il progresso della scienza con l'istituzione della Medaglia Pio XI. Su designazione del Consiglio dell'Accademia sono felice di conferire questo alto riconoscimento a un giovane ricercatore, il Dottor Antonio Paes de Carvalho, che ha portato, con i suoi lavori di ricerca fondamentale, un contributo importante per il progresso della scienza e il bene dell'intera umanità.
10. Signor Presidente e Signori Accademici. Dinanzi agli Eminentissimi Cardinali qui presenti, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede , agli illustri scienziati e Signori che partecipano a questa tornata accademica, io desidero dichiarare che la Chiesa universale, la Chiesa di Roma insieme a tutte le Chiese sparse nel mondo, attribuisce una grande importanza alla funzione della Pontificia Accademia delle Scienze.
Il titolo di Pontificia attribuito all'Accademia significa, come voi sapete, l'interesse e l'impegno della Chiesa, in forme diverse dall'antico mecenatismo, ma non meno profonde ed efficaci. Come ha scritto l'insigne compianto Presidente dell'Accademia Monsignor Lemaître: « La Chiesa ha forse bisogno della scienza? Certamente no! La croce e il vangelo le sono sufficienti. Ma al cristiano niente dell'umano è estraneo. Come la Chiesa avrebbe potuto disinteressarsi della più nobile delle occupazioni strettamente umane: la ricerca della verità?» (O. Godart-M. Heller, Les relations entre la science et la foi chez Georges Lemaître , in “Pontificia Accademia Scientiarum, Commentarii”. vol. III, n. 21, p. 7).
Nella vostra e mia Accademia collaborano insieme scienziati credenti e non credenti tutti concordi nella ricerca della verità e nel rispetto di tutte le fedi. Mi sia lecito citare ancora una luminosa pagina di Monsignor Lemaître: «Entrambi – lo scienziato credente e non-credente – si sforzano di decifrare il palinsesto di molteplici stratificazioni della natura dove le tracce delle diverse tappe della lunga evoluzione del mondo si sono sovrapposte e confuse. Il credente ha forse il vantaggio di sapere che l'enigma ha una soluzione, che la scrittura soggiacente è, alla fine dei conti, opera di un essere intelligente, dunque che il problema posto della natura è stato posto per essere risolto e che la sua difficoltà è indubbiamente proporzionale alla capacità presente o futura dell'umanità. Questo forse non gli darà nuove risorse nella sua indagine, ma contribuirà a mantenerlo in un sano ottimismo senza il quale uno sforzo costante non può mantenersi a lungo» (Ivi, p. 11).
Io auguro a tutti voi quel sano ottimismo di cui parla Monsignor Lemaître e che trae la sua origine misteriosa, ma reale, da Dio in cui avete riposto la vostra fede o dal Dio ignoto cui tende la verità, oggetto della vostra illuminata ricerca.
Che la scienza da voi coltivata, Signori Accademici e Signori Scienziati, sui versanti tanto della ricerca pura quanto della ricerca applicata, possa, col concorde aiuto della religione, aiutare l'umanità a ritrovare le vie della speranza e raggiungere le mete supreme della pace e della fede.

10 ottobre 2010

Presentazione pubblicità UCB

La comunicazione di United Colors of Benetton si basa su una intuizione di Luciano Benetton che dice:
“La comunicazione non si deve comprare da un fornitore esterno, deve nascere dal cuore dell’impresa”.
Parte da questo assunto la strategia di comunicazione di un marchio che, da più di venti anni, punta, attraverso la capitalizzazione dell'immagine, alla creazione di “valore”.
Un'impresa che sceglie di dare importanza al “valore”, che sceglie di creare “valore” non si rivolge più al consumatore ma all'individuo.
Il consumo vero e proprio viene riposizionato in un contesto di vita. Entrando nell'universo dei valori, la marca libera il prodotto dall'universo della merce e della fabbrica, ne fa un essere sociale a sé stante. Rivolgendosi a un individuo, invece che a un cliente, la marca può identificare il suo target non a partire dall'età o dal reddito dei consumatori, ma sulla base di una visione comune di ciò che è importante, a partire da un insieme di valori condivisi.
Benetton ha capito, fin dai suoi inizi di marca di abbigliamento giovane, che destinare risorse alla costruzione e valorizzazione della marca, equivaleva all'effettuazione di un investimento strategico. I colori uniti dei pullover sono diventati presto metafora dei colori uniti dei giovani di diversa nazionalità cui i maglioni erano destinati. Con l'allargarsi dei mercati - Benetton è diventato in pochi anni un marchio globale - si è esteso il concetto di United Colors fino a comprendere, oltre alle razze diverse, i concetti di tolleranza, di pace, di rispetto delle diversità.
L'evoluzione dell'idea di “marca” si lega anche alla nuova realtà tecnologica dell'azienda. La grande intuizione di Benetton è nel mettere a punto, all'inizio degli anni '60, un procedimento che permette la tintura degli abiti finiti e non, come accadeva abitualmente, di fibre non tessute. Un know how che permette all'azienda, ai suoi esordi, di reagire molto più in fretta alle tendenze della moda, fattore di determinante importanza in questo mercato. La manipolazione dei colori diventa perciò un vero e proprio elemento di identità e di cultura industriale per l'azienda.
“Tutti i colori del mondo” era uno dei primi slogan cha accompagnavano le pubblicità Benetton, diventando poi “I colori uniti di Benetton”. Quest'idea dei colori uniti appare talmente forte da convincere l'impresa ad adottarla come marchio.
Per la prima volta nella storia dei marchi commerciali, lo slogan “United Colors of Benetton”diventa marchio.
Un marchio che si trasforma in propulsore di un messaggio suggestivo: “United Colors”. Intorno ai “colori uniti” si svilupperanno i concept delle immagini pubblicitarie che punteranno a creare una rete sempre più estesa di “United People”. Sono immagini che mostrano ragazzi e ragazze di ogni colore che esprimono integrazione, dinamismo, gioia di vivere. Evocano un universo un po' astratto dove domina la facilità delle relazioni e dei sentimenti.
La costruzione del valore della marca avviene, a questo punto, in tre diverse fasi:
  • Il ciclo della differenza
  • Il ciclo della realtà
  • Il ciclo del diritto di parola e della legittimità ad esercitarlo

IL CICLO DELLA DIFFERENZA

Incomincia con la collaborazione di Oliviero Toscani e a partire dalle immagini della campagna del 1986, il lungo cammino della comunicazione Benetton verso il suo destino di sovvertimento degli stereotipi. I gruppi felici di giovani multirazziali lasciano il posto alla raffigurazione di “coppie” che mettono in scena un’interpretazione della differenza assolutamente nuova. Il termine “differenza” acquista in questo ciclo un significato polemico e oppositivo. La marca scopre che gestire la problematica della differenza all'interno di un procedimento di comunicazione non è poi così semplice. Spesso, cercare di accostare individui diversi può portare al conflitto invece che alla felicità e all'euforia. Numerose immagini di questo periodo mostrano l'applicazione di questo procedimento. Un'immagine mostra un'opposizione religiosa e politica (il palestinese e l'israeliano).
Un'altra mostra un'opposizione religiosa e sessuale (il prete che abbraccia la suora) e un'altra ancora un'opposizione morale (gli stereotipi del male e del bene simboleggiati dall'angelo e dal diavolo).
Tutte queste opposizioni si fondano su interdizioni, su un'impossibilità di coesistenza, su una differenza che separa invece che unire. Prendendo atto di queste diversità e divieti, la marca assume un tono più impegnato. Prende posizione, non si limita a fornire una semplice rappresentazione “oggettiva” del mondo: la marca si impegna ad assicurare la coabitazione di identità opposte, vuole abbattere le barriere e assicurare il dialogo. Il suo progetto diventa l'integrazione degli opposti, Benetton cerca l'unificazione delle differenze sotto un'unica bandiera, quella della marca. In questa fase, il “prodotto” scompare progressivamente dalle immagini pubblicitarie. Tradizionalmente, il discorso pubblicitario insiste sull'importanza del prodotto proprio nel cuore dell’annuncio. Questa presenza sarebbe necessaria per attribuire a una campagna un effetto commerciale reale. Benetton prende un'altra direzione, suggerendo che, una volta stabilite in modo chiaro l’identità della marca e la sua identità visiva, il prodotto diventa uno degli attributi della marca. Benetton sta diventando ormai un marchio presente in tutti i continenti. La popolarizzazione e la diffusione dei suoi prodotti reali - quelli che si possono acquistare negli oltre 5.000 negozi- si traduce paradossalmente nella scomparsa del prodotto dalla sua comunicazione.

IL CICLO DELLA REALTÀ

Dopo l'uguaglianza, dopo l'esaltazione delle differenze, Benetton affronta la realtà di ciò che è comune a tutti, di ciò che è proprio dell'Uomo in generale. Il dialogo instaurato da Benetton con i “consumatori” (che Benetton considera prima di tutto uomini e donne) acquista profondità. Nel 1991, in occasione della Guerra del Golfo viene realizzata questa immagine, la foto di un cimitero di guerra:
Pubblicata su un solo giornale, in Italia, Il Sole 24 Ore, poiché tutti gli altri la rifiutarono, annuncia una frattura con le immagini precedenti. Lo stile diventa “realistico”, si introduce la profondità di campo, un pezzo di “vita vera” irrompe nell’universo edulcorato e falso della pubblicità.
Questa unica foto provocherà centinaia di articoli in tutto il mondo. Alle opposizioni nei confronti dell’irruzione del tema della morte in pubblicità Benetton risponde con una nascita, la famosa immagine di un neonato ancora attaccato al cordone ombelicale.
La foto della neonata Giusy vorrebbe essere un inno alla vita ma sarà una delle immagini più censurate nella storia della pubblicità Benetton. Nel tradizionale spazio pubblicitario, abitato da simulacri, l'irrompere della vita vera crea scandalo.
In Italia, le proteste iniziano a Palermo, dove il Comune ingiunge alla Benetton di togliere le affissioni. A Milano, la censura è addirittura preventiva e il grande spazio di Piazza Duomo resta off-limits. Dopo arriva la condanna del Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria, il Comitato di Autoregolazione della categoria per il quale la foto “non tiene conto della sensibilità del pubblico”. Critiche analoghe vengono espresse anche in Gran Bretagna, Irlanda e Francia. È singolare però l'itinerario di quest'immagine che, passato il periodo del rifiuto, comincia ad essere compresa ed apprezzata. Arrivano così il premio svizzero della Société Générale d'Affichage e la richiesta, da parte del Policlinico Sant’Orsola di Bologna, di mettere la foto nella sala travaglio; questa stessa immagine, inoltre, viene esposta in Olanda, nell'ambito di una mostra dedicata all'iconografia della maternità nei secoli, al Museo Boymans-van-Beuningen di Rotterdam.
A questo punto il linguaggio della comunicazione Benetton cambia radicalmente. Con la campagna del febbraio 1992, arriva lo scandalo planetario. Questa campagna è costituita da foto di agenzia che mostrano immagini drammatiche, reali: l'agonia di un malato di Aids, un soldato che bandisce un femore umano, un uomo assassinato dalla mafia, un’automobile incendiata, una nave presa d'assalto da emigranti.
La foto di David Kirby ritratto nella sua stanza dell'Ohio State University Hospital nel Maggio del 1990 con al capezzale i familiari è della fotografa Therese Frare ed era già stata pubblicata come foto giornalistica in bianco e nero su Life magazine nel Novembre del 1990. Aveva già vinto nel 1991 il World Press Photo Award, ma è stato grazie all'utilizzo pubblicitario che Benetton ne ha fatto che questa foto ha raggiunto i media mondiali ed ha fatto discutere sul tema della morte per HIV. Tanto che oltre a vincere il premio dell'European Art Director Club per la miglior campagna del 1991, l'Infinity Award dell'International Center of Photography di Houston, e ad essere stata esposta in musei americani, francesi, italiani, svizzeri e tedeschi, nel 2003 la foto è stata inclusa nella raccolta Life 100 Photos that changed the world. I genitori di David, Bill e sua moglie Kay, parteciparono alla conferenza stampa indetta dalla Benetton alla Public Library di New York e mentre su quell'immagine il mondo si divideva tra accuse di cinismo e approvazione, e molte riviste avevano già rifiutato la pubblicazione, la madre di David disse: "Noi non abbiamo la sensazione di essere usati ma di usare la Benetton: David parla a voce molto più alta ora che è morto che non quando era vivo".
Le foto del malato di Aids, del soldato e degli immigrati albanesi non sono state realizzate ad hoc per la campagna pubblicitaria, sono immagini di agenzia, di stile tipicamente giornalistico, utilizzate per reportage di attualità. Sono foto che riproducono il mondo “reale”, rientrano nelle convenzioni dell'informazione e introducono una nuova interessante domanda sul destino della pubblicità: si può usare il messaggio pubblicitario, l'enorme potenza dei budget impiegati in pubblicità, per instaurare con i consumatori un dialogo diverso dall’informazione sui prodotti?
Chi ha stabilito che la pubblicità possa rappresentare soltanto l’assenza dei conflitti e del dolore?

IL CICLO DEL DIRITTO DI PAROLA E DELLA LEGITTIMITÀ AD ESERCITARLO

Le reazioni a queste immagini “reali” furono, a volte, violente. La campagna fu rifiutata da molte testate giornalistiche, in vari paesi. Eliminando il prodotto dalle sue comunicazioni, infrangendo il tabù dei temi negativi, associando la sua marca alla rappresentazione dei conflitti e del dolore, e, soprattutto, abbandonando il mondo confortevole e fittizio degli stereotipi pubblicitari, Benetton fa saltare letteralmente le fondamenta sulle quali riposano la cultura, il linguaggio e la specificità del discorso pubblicitario classico.
Molte accuse riguardavano il carattere “choccante” delle pubblicità Benetton. Ma il discorso non regge. I media ci hanno abituato da tempo a ogni tipo di immagine: omicidi, catastrofi naturali, genocidi. La lista dell'orrore e della sofferenza mediatizzati è purtroppo infinita. Nel caso di Benetton ciò che colpisce non può dunque essere l'immagine in sé ma piuttosto il fatto che queste immagini siano diffuse da un'azienda a fini pubblicitari. Altri critici trovavano accettabile e addirittura lodevole la preoccupazione dimostrata dalla marca di sensibilizzare il grande pubblico sui temi dell'AIDS, della guerra, del razzismo. Consideravano però assolutamente inaccettabile che questa operazione di sensibilizzazione fosse fonte di guadagno, fosse associata a un'attività commerciale. Il guadagno trasformerebbe la denuncia in speculazione, la sensibilizzazione in cinismo. Il discorso non regge neppure in questo caso. Nelle società occidentali ci sono istituzioni e figure professionali orientate verso il bene pubblico (ospedali, medici, polizia, vigili del fuoco, organizzazioni non governative e governative) che vengono remunerate o fanno profitti. Curiosamente, questa stessa pratica sembra diventare improvvisamente spregevole quando è una marca di vestiti a pretendere di poter avviare un discorso - per esempio sulla prevenzione dell'AIDS - di utilità pubblica. Sta tutto qui lo scandalo Benetton. In realtà ciò che le si rimprovera non è di esercitare un diritto di parola. È di non avere la legittimità per farlo. Fino a che la marca si limitava a mostrare immagini appartenenti al suo mondo possibile, non le si contestava niente. Ciò che ha dato fastidio è che Benetton abbia confuso il mondo “possibile” con il mondo “reale”, credendo di poter disporre della stessa legittimità di parlare di un mondo che non ha generato.
Tuttavia, la successiva legittimazione del marchio grazie alla collaborazione con numerose associazioni riconosciute internazionalmente permise di superare quest'ultima critica. Nel 1993, con la collaborazione della Caritas Svizzera e della Federazione Internazionale della Croce Rossa di Ginevra, Benetton lancia la campagna “Clothing Redistribution Project”, la prima operazione mondiale di ridistribuzione di vestiti alle popolazioni bisognose. Il testimonial è Luciano Benetton stesso, significativamente nudo, coperto soltanto dall'headline “Ridatemi i miei vestiti” utilizzata come “teaser” e dalla successiva “Vuotate gli armadi”. Il vero successo della campagna sarà comunque testimoniato dai 460.000 Kg. di abiti usati, raccolti dalle 44 associazioni che, unendosi a Caritas e Croce Rossa, hanno reso capillare nel mondo l'opera di ridistribuzione (tra queste la Buddhist Relief Old Clothes Help a Taiwan, la Global Jewish Assistance and Relief Network a Hong Kong, la Japan Relief Clothing Center a Tokyo, Gifts in Kind negli Stati Uniti e in Canada, la World Assembly of Muslim Youth nei Paesi Arabi e Hogar de Cristo in America Latina).
In occasione della Sesta Giornata Mondiale dell'AIDS, il 1 dicembre 1993, un enorme preservativo rosa, alto 22 metri e largo 3,5, è stato infilato sull'obelisco di Place de la Concorde a Parigi. L'endorsement, questa volta, era di ACT UP, una delle associazioni più radicali nell’informazione e nella lotta contro l'AIDS.
Tutti i telegiornali delle principali reti televisive internazionali e, ovviamente, tutta la stampa quotidiana e periodica mostrarono quella che è diventata l'immagine simbolo della lotta all'AIDS.
Attraverso l'alleanza con associazioni no-profit, istituzioni, grandi organismi internazionali, la Benetton dimostra che un uso “differente” della pubblicità è possibile.
Il diverso approccio alla comunicazione, intesa come creazione di valore, si è espresso anche nella realizzazione dei cataloghi delle collezioni moda:
Sempre fotografati con “gente vera”, realizzati a volte in collaborazione con grandi testate giornalistiche (Enemies con Newsweek, ad esempio, per dare forza editoriale al messaggio di pace contenuto in un semplice catalogo comerciale) o con istituzioni educative (come l'Istituto St. Valentin, per giovani disabili, con sede a Ruhpolding, nelle Alpi Bavaresi). Oppure con i giovani abitanti desiderosi di riscatto di una cittadina siciliana, Corleone, in odore di “mafia”, o ancora con le tribù metropolitane di un quartiere alla moda di Tokyo.
L'ultima campagna con Toscani, fotografata nel 2000 in alcuni penitenziari americani, ha per oggetto la pena di morte ed avrà un impatto mediatico sensazionale. Le principali TV di tutto il mondo dedicheranno all’argomento parte dei loro notiziari. Tutta la stampa internazionale pubblicherà le foto dei condannati mentre il dibattito sulla pena di morte si arricchisce di nuovi significativi contributi.
Dal 2000 Oliviero Toscani passa il testimone della creatività a Fabrica, il centro di ricerca sulla comunicazione che lui stesso ha contribuito a fondare. Così a partire dal 2001, il brand ha alternato, ogni tre stagioni, tradizionali campagne prodotto e campagne istituzionali sempre di più ampio respiro.
Le più recenti comprendono:
2001, Volunteers in Colors : una campagna di comunicazione Benetton, un numero speciale di COLORS e un concerto, in collaborazione con UN Volunteers, per celebrare l'Anno Internazionale del Volontariato.
In questa campagna Benetton ha affrontato uno dei temi tipici della sua comunicazione e, ancora una volta, ha parlato di “gente vera” e toccato problemi concreti del vivere civile.Non più la rappresentazione del volontariato associata soltanto all'emergenza e al dolore, ma piuttosto a un modo di realizzarsi nell’aiuto degli altri, legato a scelte personali e di qualità della propria vita.
Per maggiori informazioni visita www.benetton.com/UNV
2003, Food For Life : una campagna di comunicazione Benetton, un libro e un supplemento di COLORS, in collaborazione con World Food Programme, l’agenzia delle Nazioni Unite in prima linea per la lotta contro la fame nel mondo.
La campagna ha inteso riproporre con evidenza il problema della fame che ancor oggi rappresenta la più grande emergenza umanitaria mondiale, anche se, di fatto, è stata dimenticata dai media e dall'opinione pubblica. Lo scopo era quello di mostrare come il cibo possa divenire un vero e proprio agente di cambiamento sociale, importante motore di pacificazione e di sviluppo, in grado di cambiare drasticamente le prospettive di vita futura degli individui.
Per maggiori informazioni visita www.benetton.com/food/press
2004, James & Other Apes : una campagna di comunicazione Benetton, un libro e una mostra del Museo di Storia Naturale di Londra, con il supporto del Jane Goodall Institute, fondato dalla nota primatologa impegnata nella salvaguardia dell'ambiente e messaggero di pace delle Nazioni Unite.
Con questa iniziativa, Benetton ha proseguito la sua riflessione sulla diversità intesa come “ricchezza” del nostro mondo, estendendola dalla varietà delle razze umane agli esseri viventi che occupano il primo posto nella classificazione zoologica. I ritratti di queste grandi scimmie ci rimandano, in un gioco di specchi, agli interrogativi fondamentali dell'essere umano, racchiusi nello sguardo enigmatico di razze così vicine a noi nella scala evolutiva.
Per maggiori informazioni visita www.benettongroup.com/apes
2008, Africa Works: una campagna mondiale di comunicazione dedicata al progetto di microcredito in Senegal. Benetton ha messo in primo piano l’Africa che lavora: una campagna mondiale di comunicazione per promuovere il progetto di microcredito in Senegal di Birima, la società di credito cooperativo fondata dal cantante senegalese Youssou N’Dour, alla quale il Gruppo Benetton ha destinato anche un solido sostegno economico. Benetton ha scelto di sostenere e promuovere questo importante progetto perché, più delle tradizionali azioni di solidarietà, è un concreto sostegno allo sviluppo della piccola imprenditoria locale, grazie ad efficaci finanziamenti di microcredito. Un progetto che, proprio perché basato su capacità imprenditoriali, impegno nel lavoro, ottimismo e interesse per il futuro, punta con forza a sostenere il nuovo volto dell’Africa. In parallelo a stampa e affissioni, la campagna Benetton ha contato su una serie di iniziative ed eventi: un supplemento di COLORS sul microcredito; una riedizione della canzone Birima di Youssou N’Dour con la partecipazione straordinaria di Patti Smith, Simphiwe Dana, Irene Grandi e Francesco Renga; un videoclip della canzone; un cartone animato sul tema del microcredito realizzato appositamente per la comunità senegalese e le tv africane; un sito internet Benetton dedicato alla campagna e agli eventi collaterali e il portale www.birima.org, entrambi progettati e realizzati da Fabrica.
Per maggiori informazioni visita www.benetton.com/africaworks
Con l'“endorsement” di queste istituzioni prestigiose e inattaccabili alle campagne Benetton siamo nella fase attuale della comunicazione Benetton, una comunicazione che continua a sorprendere oggi per la capacità di instaurare alleanze, per la capacità di “moltiplicare” la comunicazione, in un processo di informazione e sensibilizzazione verso temi sociali che coinvolge parecchi attori dell'universo mediatico. Sono ormai le Nazioni Unite, SOS Racisme, le associazioni di lotta contro l'AIDS e contro la pena di morte, i gruppi pacifisti, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, le associazioni di volontariato a sfruttare la potenza e la notorietà del marchio Benetton per comunicare su temi che stanno loro a cuore e per i quali non avrebbero potuto mai disporre di budget adeguati. La vecchia accusa “Benetton sfrutta il dolore per vendere maglioni” si è ormai ribaltata. Sono le Nazioni Unite e le altre Associazioni a sfruttare la potenza e la riconoscibilità del marchio Benetton e dei suoi maglioni per dare voce “al resto del mondo”. La marca è perciò alla soglia di una nuova fase, più evoluta, della creazione di valore. Benetton continua a parlare di consumo e di comunicazione. La marca non vuole e, ovviamente, non può risolvere i problemi planetari. Il destinatario della marca non è un target specifico, è invece un soggetto collettivo, consumatori agiati che comprano dei vestiti e che la marca ritiene sufficientemente evoluti intellettualmente da smettere di bombardarli con spot coercitivi all'acquisto.
Il “cuore” dell'impresa, da cui oggi nasce la comunicazione, è Fabrica, un vero laboratorio di ricerca aperto a giovani sotto i 25 anni provenienti da tutto il mondo. La sfida di Fabrica è quella dell'innovazione e dell'internazionalità: un modo per coniugare cultura e industria, attraverso la sperimentazione di nuovi linguaggi: nel design, nella grafica, nel web, nel video e nel cinema, nella musica, nell'editoria e nella fotografia. In questo modo il Gruppo continua nella sua strategia di creazione di valore e contribuisce all'unicità di un marchio che non ha mai smesso di credere nella ricerca e nella sperimentazione.